L'Associazione Genesi, in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Opera Laboratori nell’ambito del progetto culturale Genus Bononiae, è felice di annunciare una importante mostra sul lavoro di Louise Nevelson (al secolo Lija Isaakivna Berljavs’ka, Kiev, 1899 - New York, 1988), una delle prime donne artista a ottenere un saldo riconoscimento nel sistema artistico coevo già a partire dagli inizi degli anni Quaranta grazie alle sue grandi sculture monocrome nere, bianche, e oro create con assemblaggi di materiali di recupero.
La mostra, a cura di Ilaria Bernardi, sarà visitabile dal 30 maggio al 20 luglio 2025 a Bologna, nelle sale del piano nobile di Palazzo Fava decorate dal ciclo di affreschi commissionati nel 1584 a Ludovico, Annibale e Agostino Carracci dall’allora proprietario dell’edificio, Filippo Fava.
Si tratta della prima mostra dedicata a Louise Nevelson nella città di Bologna e corrisponde al contempo al 120° anniversario dal suo trasferimento da Kiev, dove nacque, agli Stati Uniti, dove si ricongiunse al padre ivi emigrato qualche anno prima per fuggire al clima persecutorio contro gli ebrei diffusosi nel suo paese di origine. Il trasferimento oltreoceano segnò una svolta nella vita della giovanissima Louise che proprio negli Stati Uniti troverà la sua emancipazione come donna e il suo successo come artista.
Con questo progetto l’Associazione Genesi dà avvio a una serie di esposizioni monografiche dedicate a grandi artisti ormai storicizzati, la cui vita e/o il cui lavoro può essere interpretato ex-post come anticipatore di tematiche sociali oggi divenute urgenti. Se con il suo lavoro fatto di scarti quotidiani assemblati, Louise Nevelson ha anticipato il tema della memoria, con la sua vita personale, opponendosi alle convenzioni tradizionalmente imposte alla donna del suo tempo, ha anticipato l’oggi dirimente questione della condizione femminile.
Pur sposata con Charles Nevelson e madre di un figlio, sentì infatti talmente limitante il ruolo di moglie e madre che nel 1941 divorziò dal marito per dedicarsi completamente all’arte. La sua tenacia ad emanciparsi come donna e come artista le consentì, già negli anni Cinquanta, di vedere sue opere entrare a far parte delle collezioni dei maggiori musei americani, tra cui il MoMA a New York; nel 1962 espose nel padiglione statunitense della Biennale di Venezia e nel 1967 ottenne una prima vasta retrospettiva al Whitney Museum di New York a cui seguirono numerose altre mostre nel mondo che le valsero il titolo di “Grande dame della scultura contemporanea”.
Cuore dell’esposizione bolognese saranno le iconiche sculture di grandi dimensioni in legno dipinto, tra le quali svettano esempi provenienti da diversi cicli scultorei prodotti negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta e Ottanta.
Articolata nelle cinque sale del piano nobile di Palazzo Fava, sarà la prima mostra a suddividere le opere per tipologie tematico-strutturali ricorrenti, in modo da fornire al visitare il vocabolario di base per leggere il lavoro dell’artista.
Nella prima sala, la Sala Giasone, saranno presentate le celebri e monumentali sculture autoportanti, in legno dipinto di nero, per lo più senza titolo, come il grande Senza titolo del 1964, che, come enormi librerie celano al loro interno oggetti di varia natura.
Segue la seconda sala, la Sala Rubianesca, dove saranno esposti alcuni esemplari della serie delle cosiddette “porte” in legno dipinto di nero, sospese a parete, realizzate nel 1976 “incastonando” alle assi di legno delle porte parti di oggetti aggettanti, tra cui sedute, schienali, gambe di sedie. Nella stessa salasarà inoltre presente un’opera Senza titolo del 1959-60 che sembra costituire un prodromo di questa serie di lavori.
La terza sala, la Sala Enea, accoglierà una differente tipologia di sculture, ancora una volta in legno dipinto di nero e sospese a parete, ma questa volta piattissime poiché costituite da assemblaggi di elementi tipografici. Alla stregua della scultura autoportante Sky totem del 1973 che le accompagna, sono caratterizzate da titoli esplicitamente evocativi a paesaggi naturali o artificiali (v. Tropical Landscape,1975 e City Series, 1974), a dimostrare quanto le “forme” e le energie nascoste nel reale siano sempre state motore creativo dell’artista.
Dopo le prime tre sale caratterizzate dalle suddette iconiche sculture nere, la quarta Sala, la Sala Albani porterà in luce la stretta relazione tra il lavoro di Louise Nevelson come scultrice e la pratica del collage e degli assemblaggi che l’ha accompagnata per tutta la sua vita. I collage e gli assemblage a parete, di medio-piccole dimensioni, più o meno aggettanti, e dalle tonalità dal nero all’ocra, esposti nella Sala Albani, infatti,evidenziano, molto di più di quanto facciano le sculture, l’interesse dell’artista per materiali non convenzionali (legno grezzo, metallo, cartone, carta vetrata, pellicola di alluminio) e il suo approccio al processo creativo che la critica italiana Carla Lonzi definì a buon diritto di “distruzione-trasfigurazione” poiché basato sulla trasformazione di oggetti di recupero in Arte.
La mostra proseguirà poi nella Sala Cesi dove il visitatore si troverà davanti a una “rivelazione”: acqueforti inedite del 1953, unite a serigrafie del 1975, raramente conosciute ed esposte prima.
Nella stessa sala, a sancire il passaggio con la sala finale, sarà proiettata una video-intervista di Louise Nevelson del 1978, registrata in occasione dell’apertura della Chapel of the Good Shepherd, a New York, interamente progettata dall’artista con sculture in legno dipinto di bianco che, all’interno della sua poetica, segnano il passaggio alla vera e propria trasfigurazione alchemica dal nero del piombo allo scintillio dell’oro.
Nell’ultima sala, infatti, la Sala Carracci, grandi collage su legno dipinto sospesi a parete e soprattutto una grande scultura autoportante come (The Golden Pearl, 1962) presenteranno il risultato ultimo di tale trasformazione alchemica della materia: vi saranno esposte le ancor più rare opere in cui l’oro prende il posto del nero per divenire colore dominante.
Come scriveva Germano Celant nella monografia edita nel 1971, il lavoro di Louise Nevelson è “femminile e ‘femminista’” in quando, concentrandosi su di sé, come essere autonomo dall’uomo, è giunta all’autoaffermazione in una cultura maschile. Al fine di reincorporare l’esperienza femminile nella storia, ha portato nella scultura ciò che la donna esclusa dalla storia ha conservato nei millenni: il rapporto magico, alchemico, astorico primitivo con la natura incontaminata, in contrapposizione al razionalismo tecnologizzato maschile. Per questa ragione all’interno della sua scultura, Nevelson utilizza materiali primigeni (come pietra o legno) e incorpora miti, pratiche alchemiche e rappresentazioni rituali delle antiche civiltà. La trasformazione della materia (gli scarti da lei raccolti e assemblati nelle sue sculture) in Arte, evoca l’auspicata trasformazione della donna in essere autonomo, possibile solo attraverso la sua autoaffermazione.
“Louise Nevelson ripropone nel suo lavoro un’analisi femminista della diseguaglianza di genere, producendo un’arte autenticamente femminile” afferma la curatrice della mostra Ilaria Bernardi.
L’esposizione sarà corredata da una pubblicazione che darà inizio a una collana di libri monografici prodotti dall’Associazione Genesi, a cura di Ilaria Bernardi ed editi da Silvana Editoriale, dedicata agli artisti ormai storicizzati a cui sono dedicate le mostre personali incluse nel programma espositivo dell’Associazione.
Accanto alla mostra, aspetto altrettanto fondamentale, sarà l’attività educativa, distribuita in un programma di visite guidate e workshop, inclusivi e partecipativi, in presenza, destinati a bambini, ragazzi e adulti.
Inoltre, sarà prevista la speciale partecipazione di alcuni volontari del Gruppo FAI Ponte tra culture di Bologna che accoglieranno i visitatori con storie e racconti personali riferiti alle tematiche implicite alle singole esposizioni. FAI Ponte tra culture è il progetto del FAI Fondo per l’Ambiente Italiano, volto a favorire il dialogo interculturale e l’integrazione dei cittadini di origine straniera attraverso il patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale.
Per ampliare gli strumenti educativi, l’Associazione Genesi ha affidato a Hidonix la realizzazione di un’app scaricabile gratuitamente dagli store di cellulari e tablet, dove sarà possibile trovare tutte le informazioni sulla mostra, sulle visite guidate, sui workshop, nonché sull’Associazione stessa.
La mostra, così come l’intera programmazione espositiva per il 2025 dell’Associazione Genesi, gode del patrocinio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di FAI Ponte tra culture, della Fondazione Gariwo, e di RFK Human Rights Italia.
Main sponsor sono Eni e Intesa Sanpaolo.
La mostra a Bologna è realizzata anche grazie al contributo di Heritage e Fondazione Pirelli.
Si ringraziano inoltre per la collaborazione la Fondazione Marconi (Milano), in particolare Gió Marconi e Deborah d’Ippolito, e la Louise Nevelson Foundation (New York), nella persona di Maria Nevelson.
CARTELLA STAMPA:
https://drive.google.com/drive/folde
rs/19-eJUI0lWOJAc9LmW6sjVBTsCH4pYCkI?usp
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INFO MOSTRA
Indirizzo:
Palazzo Fava, Via Manzoni, 2, Bologna
Periodo espositivo:
30 maggio-20 luglio 2025
Orari di apertura:
Martedì-domenica, ore 10.00 – 19.00
Ultimo ingresso alle ore 18.00
Chiusura settimanale: lunedì
Biglietti:
intero: € 10,00; ridotto: € 5,00
Per informazioni sulla mostra:
Genus Bononiae – Musei della Città
+39 051 19936305; info@genusbononiae.it; www.genusbononiae.it
Per informazioni e prenotazioni di visite guidate:
Opera Laboratori
+39 055 2989818; prenotazioni@operalaboratori.com
Web:
www.genusbononiae.it