È una ricerca che si muove per opposizioni, per contrasti, per ossimori, per polarità a cominciare dal titolo Futuro Remoto, una possibilità verbale semanticamente intrigante che apre la linea del tempo verso ciò che è stato e verso ciò che non è ancora. E non solo, predispone anche all’idea che il futuro sia lontano, remoto appunto, difficile da tratteggiare nella sua abissale distanza dal presente. Da un passato vicino, Pippo Patruno raccoglie, scopre, disvela, una ricca documentazione, inviti d’arte, personali o di amici artisti, o di quanti sono stati coinvolti nella storica galleria Bonomo di Bari, di cui egli stesso ha fatto parte. Luogo elettivo per raccontare il sistema dell’arte degli ultimi cinquant’anni nelle sue più riuscite produzioni, una sorta di hub, collettore e approdo accogliente dei linguaggi contemporanei.L’insieme dei materiali riemersi e dunque riconsegnati a nuove letture, è ridotto in sequenze di pacchi dove gli inviti si sedimentano in gruppi ordinati, di spessore costante. A guisa di copertina, spicca il prodotto grafico che in ciascuno dei fardelli esprime la sua massima eloquenza iconica. Antinomico su un piano concettuale è il gesto dell’artista che, per un verso porta alla luce i preziosi reperti e, per l’altro, dopo lo sforzo archeologico, li sotterra nuovamente nella sistematica sovrapposizione degli incartamenti. Sono personalissime capsule del tempo da consegnare alla posterità, legate da corde che perimetrano identiche geometrie e rimandano a quella modularità che Patruno ha coltivato da sempre nei suoi lavori. Una modularità che è stata al servizio di una pittura circoscritta alla parola, nella sua eccezione di sintesi estrema del senso, una pittura sottratta alla forma e risospinta alla pienezza del suo referente.
In seguito, la sua intensa attività speculativa sul presente e sulla possibilità di coerenti e aggiornate rappresentazioni della contemporaneità, ha escluso naturalmente la pittura, relegandola a linguaggio “remoto”, per l’appunto. Al suo posto è l’installazione, il medium con il quale l’artista visualizza lo scorrere del tempo, gestisce il passato, ne traccia un’ ammissibile ricostruzione e rende il singolo documento parte di un mosaico della creatività contemporanea.
Cosa portare nel futuro, si chiede dunque Patruno, se non il distillato sublime della produzione artistica, siglato nella cospicua documentazione di mostre e eventi, ricostruttiva di biografie artistiche illustri? E, allora, procede assorbendo ciò che è stato e ora non è più ma anche ripensando l’ipertrofica conservazione compulsiva, l’accumulo ossessivo per consegnarlo infine a un sistema disciplinato, normato da cumuli regolari.
Collocati su un’ampia parete, in un affastellamento che abbozza una massiccia invasione ambientale, gli imballaggi si alternano a lavori fotografici. Derivano dalla combinazione di più pagine della rivista Artforum, reperita nelle sue numerose annate ancora dal fondo Bonomo, e innalzata a silloge di un universo onnicomprensivo dei linguaggi visuali.
Immagini e testi, attraverso la fotografia, trasmutano dall’originale cartaceo in stampe digitali su legno con una resa volutamente sporca, disturbata nella leggibilità dalla focalizzazione su una sola parola. È centrale, traforata e buca letteralmente lo sguardo, è una parola che già c’è, esiste nei testi e assume nell’accezione borgesiana, un ruolo generativo. È la parola di tutte le parole, la scrittura del Dio del celebre racconto dello scrittore argentino, un segno promotore di una catena di senso infinita come infinito è il tentativo dell’uomo di nominare il mondo.
Figli di una stessa ricerca sono altri reperti, legati alla storia da connessioni autobiografiche che trovano una sontuosa collocazione negli spazi ipogei della galleria. Riviste, dischi, libri, dépliant, a partire dagli anni Settanta, sono compattati non più in seriali e reiterate sequenze ma in colli disomogenei e personalizzati da scritte incise. Possibili titolazioni per memorie private e collettive, per corrispondenza ordinaria e idoli mediatici: una cartolina dello sbarco sulla luna, il vinile di Woodstock o di Lucio Battisti, la prima edizione in italiano del libretto rosso di Mao Tse-tung, il manifesto SCUM di Valerie Solanas, la foto di Jan Palach, dei militari italiani durante le campagne d’Africa, di sposi anonimi in viaggio di nozze a Venezia o a Roma. Viatici che hanno scortato Patruno nel passaggio da un millennio all’altro.
È la tappa conclusiva di un’archiviazione impossibile, restituita fatalmente nell’ultima stanza alla condizione di partenza, al caos primigenio. Su una tavola, come in uno scomposto e residuo banchetto, si mescolano materiali non ancora sottoposti a tassonomie, progetti abortiti, abbozzi, azzardi creativi e fallimenti, scatole in attesa di sguardi classificatori. Una confusione che ha l’ardimento di non confondere più, dove tutto si trova in una separatezza e singolarità disarmante, precedente a ogni ordine, archivio, catalogo e prima di qualsiasi definizione remota e futura.
Marilena Di Tursi
Web:
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