Mercoledì 13 febbraio 2013
Spose, di e con Carmela Vincenti
Teatri e auditorium
Prendete quattro donne in odore d'altare, mettetele sul palcoscenico, e lasciatele sfogare l'una di seguito all'altra. Avrete così Spose. Indescrivibile successo di pubblico, va subito detto. Come va subito detto che chiunque s'aspettava la Vincenti televisiva, con le trite e ritrite battute, sarà rimasto deluso. Tutto è tragicamente serio, pur ridendo. La prima donna racconta le sue disavventure in amore. Sempre tradita, gabbata, delusa. Lei è nata per amare, per coronare il suo sogno di una famiglia e di un marito da adorare. Fa quasi compassione la sua disperata ricerca. "Il matriomonio è la tomba dell'amore, dicono; per me è la vita", è il suo motto. Il destino, però, le riserva sempre cocenti delusioni. La seconda si proclama beata, perché dopo aver penato con un chirurgo primario del Policlinico, che non si decideva a sposarla ("l'anello al dito è sacro"), attaccato a quarantacinque anni alla gonna di mammà, ha finalmente trovato l'uomo da sposare. Tale Claudio Palmentura, bruttarello e tirchio ma figlio unico della Palmcostruzioni e orfano di madre: l'ideale. Programma il suo matrimonio in grande, e pretende la comunione dei beni. Niente che dire, un affarone. Simpatica la terza storia, una figlia di emigranti che torna in Italia, nella terra dei genitori, Barletta, per cercar marito. La lingua del monologo è uno slang di pugliese e americano e italiano. Il pubblico ride allo sciorinare della sposa di tutto l'albero genealogico materno, ma quella veste bianca fa davvero tenerezza. Ultima protagonista, una donna che ha sempre fuggito gli uomini perché non è mai scesa a compromessi. Ha con lo specchio un rapporto di amichevole e drammatica confidenza, vive in compagnia della sua immagine riflessa. Starebbe bene da sola, sennonché una frase le sgorga dal petto, "voglio tornare a casa e trovare la luce accesa". Così, per una volta nella sua vita decide di buttarsi e si rivolge ad un'agenzia matrimoniale. Le si presenta un tale Trapasso Luigi, poeta e pessimista, uomo pieno di difetti, ma lei è disposta a passarli. "Lui era per me un'ancora di salvezza, io per lui una finestra sul mondo". Così crede, perché alla domanda se invece di lei l'agenzia gli avesse presentata un'altra, il poeta risponde che per lui sarebbe "indifferente". E gettando il mazzo di rose rosse, cioè passioni e brame, alle spalle, la donna ritorna nella sua solitudine. Che è il tema di tutte le storie raccontate. La Vincenti recita il suo monologo, scoprendo nel cuore del serico bozzolo uno specchio, simbolo sia della femminilità sia dell'immensa solitudine umana. Particolarmente forte il capestro come appendiabito nuziale che, mostrato al primo episodio, pencola sinistro per tutto lo spettacolo. La musica terribile di Hadrian Filip Tabecki, i costumi suggestivi di Cristina Bari, le luci dai colori sentimentali di Francesco Catacchio, e la regia scrupolosa di Michal Znaniecki hanno esaltato, infine, la maiuscola prova di bravura dell'attrice barese, che sulla scena è stata una, nessuna e centomila donne.
Martina Franca (Taranto)
Teatro Verdi
Piazza XX Settembre, 5
ore 21:00
ingresso a pagamento
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