Le “prigioni” di Ascanio Celestini
Teatri e auditorium
La storia d’Italia vista da Ascanio Celestini. Pro Patria. Senza prigioni, senza processi è lo spettacolo in scena al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi il prossimo venerdì 22 marzo. Un lungo, serrato, emozionante, appassionante, intenso monologo senza intervalli e che solo alla fine si trasformerà (con finale illuminante e spiazzante) in un breve dialogo, rivolto a Giuseppe Mazzini. Il protagonista (Ascanio Celestini su una scena scarna e nuda) è un detenuto qualsiasi, un “ladro di mele” intento a provare il suo discorso per il tribunale (che non dirà mai), che s’interroga sui limiti della giustizia (e non solo) attingendo e partendo dalla storia risorgimentale italiana. L’idea dello spettacolo nasce dal ricordo della Repubblica Romana, nel 1849 fu fondato un piccolo stato governato da Carlo Armellini, Aurelio Saffi e Giuseppe Mazzini che però durò soli pochi mesi, prima di essere restituito al dominio del governo pontificio con l’intervento di Napoleone III.
I grandi protagonisti del Risorgimento, e non solo, sono i soggetti del racconto portato in scena da Celestini: il detenuto ripercorre tre momenti fondamentali della storia, il Risorgimento di Carlo Pisacane, Ciro Menotti e i Fratelli Bandiera, la Resistenza del secondo dopoguerra e la lotta armata degli anni Settanta, tre tentativi che hanno in comune i sogni disattesi di tanti giovani guidati dai loro ideali. Celestini racconta l’Italia delle rivoluzioni fallite, all’origine del suo “discorso” c’è l’altro Risorgimento, quello uscito sconfitto.
Mazzini morì nel 1872 quando l’Italia era unita. Non solo non fu considerato un padre della patria dai suoi contemporanei, ma per le istituzioni era un terrorista e agitatore. Alla fine dello spettacolo il protagonista pronuncia il suo giudizio: «Voi non siete un rivoluzionario, siete un romantico. Perciò la rivoluzione vi è venuta male». Celestini parte da lontano e arriva ai giorni nostri. E rilancia speranze e aspirazioni giovanili. «Per questo - sottolinea - la vicenda romana del ‘49 è centrale. Proprio perché offre un’immagine eloquente di questo slancio che portò a Roma tanti ragazzi appena ventenni come Luciano Manara, Goffredo Mameli, i fratelli Dandolo, Emilio Morosini e in fondo anche Mazzini e Garibaldi erano poco più che quarantenni. Più che all’immagine retorica che spesso abbiamo del Risorgimento questa vicenda ricorda Woodstock».
Alla fine emerge l’immagine di un Paese desideroso di affermare la propria storia accettandone anche gli eventi più insopportabili. Sulla scena, alle spalle dell’attore, una scenografia composta da un pannello con affissi i manifesti del “discorso”. Il racconto di Celestini è decisamente arrabbiato, tuttavia non mancano le sfumature poetiche proprie della sua narrazione
Di se stesso dice: «Mi chiamo Ascanio Celestini, figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera. Mio padre rimette a posto i mobili vecchi o antichi e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone in bottega a San Lorenzo. Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia e a quel tempo ballava il liscio. Quando s’è sposata con mio padre ha smesso di ballare. Quando sono nato io ha smesso di fare la parrucchiera. Mio nonno paterno faceva il carrettiere a Trastevere. Con l’incidente è rimasto grande invalido del lavoro, è andato a lavorare al cinema Iris a Porta Pia. Sua moglie si chiamava Agnese. Io mi ricordo che si costruiva le scarpe coi guanti vecchi. Mio nonno materno Giovanni faceva il boscaiolo con Primo Carnera. Mia nonna materna si chiamava Marianna. La sorella, Fenisia, levava le fatture e lei raccontava storie di streghe».
Pro Patria. Senza prigioni, senza processi
di Ascanio Celestini
produzione Fabbrica, Teatro Stabile dell’Umbria
con Ascanio Celestini
suono Andrea Pesce
|
Brindisi (Brindisi)
Nuovo Teatro Verdi
Via Santi,1
ore 20:30
ingresso a pagamento
|
| |
|
|
letto
183 volte