Immersa nel cuore della Valle d’Itria, a metà strada fra Martina e Locorotondo, l’attuale Chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini segna la storia di questo territorio. Infatti la Chiesa e Convento dei Cappuccini furono costruiti nel XVI secolo su un precedente insediamento dei monaci basiliani che officiavano secondo il rito bizantino e dipendevano dal Monastero di San Nicola di Casole vicino ad Otranto, fondato nel 1099. Questa comunità creò una grancia destinata alle attività agricole e una cripta ipogea con il dipinto della Madonna dell’Odegitria. Termine di origine greca che significa colei che conduce, che guida o che indica la strada. La presenza del culto della Madonna nell’Odegritria si diffuse in tutta la valle al punto tale che in Età Moderna finì con il denominare la valle come Valle d’Itria.
Nel XVI secolo giunsero i Frati Cappuccini, di ispirazione francescana, che decisero di costruire la chiesa e il convento sul sito preesistente dei monaci basiliani e traslarono l’immagine della Madonna dell’Odegitria dalla cripta ipogea all’interno della nascente chiesa. La cripta ipogea nel corso dei secoli fu completamente abbandonata e dimenticata. Solo nel giugno del 1988, due speleologi martinesi, calandosi in una cisterna, scoprirono in realtà che si trattava del primitivo insediamento dei monaci basiliani, che nel frattempo era stato sommerso da detriti. Oggi la cripta ipogea è stata valorizzata e in seguito alla bonifica del sito sono emerse due colonne originali in pietra che delimitavano il sito sacro. Attualmente si può visitare la cripta accedendo dall’atrio del convento sulla destra della chiesa.
I lavori di costruzione dell’attuale chiesa, in realtà dedicata all’Assunta, si conclusero nel 1590, come segna la data incisa sulla trabeazione del portale con al centro l’acronimo IHS; che in greco significa Iesous (Gesù Cristo) e in latino Iesus Hominum Salvator (Gesù Salvatore degli uomini). Se si scorge attentamente sulla facciata, poco più sopra la nicchia con l’Immacolata, è incisa un'altra data: 1698. Questa invece indica il rifacimento della facciata su disegno ed esecuzione di Frate Angelo Bruni di Martina, architetto e maestro nella lavorazione della pietra.
La facciata non presenta nessuna decorazione particolare, tranne l’inserimento intorno all’Ottocento di due finestre ovoidali ai lati del portale e di altre due finestre aggiunte più tardi. In alto, poco più sotto l’apice del tetto a timpano, si scorge una scritta: MARIA, quasi a voler ribadire l’intestazione della chiesa. Lungo il profilo superiore spiccano una croce litica e dei fiaccoloni. Il campanile a vela, con fattezze barocche, si trova sulla fiancata sinistra è fu realizzato nel 1757, come riporta chiaramente l’epigrafe sul fornice.
Affianco alla chiesa si sviluppa il convento dei Cappuccini che qui vissero per trecento anni fino alla soppressione napoletana di Gioacchino Murat e dell’Unità d’Italia nel 1863. Da allora fu destinato a diversi usi; come lazzaretto, concentramento per i prigionieri e centro di accoglienza per i bambini nel dopoguerra. Attualmente è retto dai Padri Somaschi. Attraversando il chiostro del convento è possibile raggiungere la cella che ospitò dal 15 agosto del 1620 all’aprile del 1621, San Giuseppe da Copertino, che a causa delle sue continue sbadataggini fu cacciato dal convento di Martina.
Interno della Chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini
La chiesa ha pianta longitudinale con l’apertura di tre cappelle molto profonde sul lato sinistro, mentre sull’altro lato vi è una sola cappella, altrettanto profonda, quella della Madonna dei Sette Dolori costruita nel 1756, come riporta palesemente l’incisione sulla chiave di volta.
La caratteristica pregevole della Chiesa dei Cappuccini è la raffinata arte ebanista che decora ogni altare. Si tratta di opere artigianali di elevato spessore artistico realizzate fra il Seicento e il Settecento. Le maestranze impiegate erano di origini venete, si parla dei cosiddetti marangoni, abili falegnami ed ebanisti che diffusero la loro arte in Terra d’Otranto. Queste maestranze vennero a contatto con i frati cappuccini ai quali in parte insegnarono l’arte. Considerando oltretutto che i frati erano soliti spostarsi da un convento all’altro in tutta Italia diventarono involontariamente ricettori di arte e di mestieri permettendo la fusione fra l’esperienza artistica religiosa e quella privata. Lunghissima è la lista dei mastri marangoni che lavorarono in questa chiesa, quasi tutti frati che non hanno lasciato il loro nome impresso da qualche parte perché essi lavoravano solo per la gloria di Dio.
Generalmente l’intarsio è bicolore. Per il fondo si usava il legno scuro del noce stagionato, mentre per le parti chiare si adoperava il bosso o l’acero. A volte spicca il terzo colore, il verde, ottenuto con vernici, come si può costatare sul paliotto dell’altare centrale. Ovunque c’è una ridonante minuzia di particolari quasi certosina che si dispiega nel consueto repertorio barocco di festoni, foglie di acanto, fiori, girali, volute, racemi, boccioli, uccelli esotici e tutto ciò che l’inventiva riusciva a rendere in chiave ebanista.
Iniziamo la visita della chiesa partendo dalla cappella di sinistra, che è dedicata alla Madonna dell’Odegitria. La parte centrale per secoli è stata coperta da un dipinto, ma in seguito a recenti restauri è stato rinvenuto l’affresco originario della Madonna dell’Odegitria con l’aggiunta posticcia delle figure della Maddalena e del Giovanni Battista. Ai lati della pala si collocano due dipinti del Settecento ispirati alla Vergine; sulla sinistra vi è l’Immacolata Concezione e sulla destra l’Assunta. Il coronamento di altare riproduce San Giuseppe con Bambino. Sulle pareti spiccano delle tempere del Settecento, anche se in parte debellate da interventi sciagurati operati nell’Ottocento, come l’inserimento della finestra ovoidale su una parete dipinta. Anche questi episodi sono ispirati alla vita della Vergine. Il soffitto è ricoperto da simboli allegorici e cartigli con versi tratti delle sacre scritture e inneggianti alla Vergine. Nelle lunette si narrano gli episodi della vita di Giacobbe; a sinistra, il Sogno della scala e, a destra, la Lotta con l’angelo.
La cappella successiva è dedicata a Sant’Antonio da Padova, santo di riferimento dell’Ordine. La pala centrale è datata del Seicento, opera di Fabrizio Fullone di Martina, e raffigura Sant’Antonio da Padova fra i Santi Domenico e Vito, in basso a sinistra è raffigurato il volto del potenziale committente. Il coronamento di altare riproduce l’immagine dell’Addolorata. A destra della pala si trovano due dipinti del Seicento: San Biagio a sinistra, e Santa Marina a destra. La terza cappella è dedicata alla Madonna delle Grazie, infatti, l’ancona raffigura la Madonna delle Grazie e i Santi Anna e Felice da Cantalice. Questo dipinto è firmato in basso da Nicola Gliri nel 1676 e fu commissionato da Ettore Blasi, di cui si riporta l’emblema familiare. Ai lati compaiono due ritratti di frati cappuccini; a sinistra, si colloca il dipinto del Beato Bernando da Offida e, a destra, compare San Bernardo da Corleone. Il pavimento di questa cappella conserva ancora l’antico rivestimento fatto con maioliche policrome realizzate da Vincenzo del Monaco di Grottaglie nel Settecento. Siamo di fronte all’esuberante macchina dell’altare maggiore che trova la sua acme nella tela centrale dell’Assunta, inserita al centro di un trittico. L’altare fu commissionato nel 1773 dal munifico benefattore Pietro Simeone a due marangoni di notevole valore: Frate Daniele Desiati da Martina e a Frate Giuseppe da Ostuni. Questa tela è la prima opera pittorica barocca presente a Martina Franca. Infatti, in basso a sinistra, sulla zoccolatura del sarcofago, è riportata la seguente iscrizione: DONATUS ANT.US DE ORLANDO / NERITON.ESIS FACIEBAT 1589, (Donato Antonio De Orlando di Nardò dipingeva nel 1589). De Orlando era un pittore salentino molto fedele ai canoni estetici imposti dal Concilio di Trento e con una particolare inclinazione verso la pittura didattica - devozionale. E’ merito della tela di D’Orlando se a Martina si inizia a respirare un clima barocco proveniente dal leccese, e se i pittori della generazione successiva ne trarranno ispirazione. Sui lati sono posizionati due dipinti del Seicento attribuiti a Frate Angelo da Copertino; a sinistra, l’Angelo custode e, a destra, la meravigliosa tela della Maddalena, che mescola due elementi tipici del barocco: la sensualità e la tragicità teatrale. I coronamenti superiori raffigurano San Pietro, nel riquadro di sinistra, San Paolo, in quello di destra e il Padre Eterno centralmente. Sempre opera di grande maestria sono i pannelli del tabernacolo che riproducono l’Annunciazione. In una nicchia a sinistra si colloca la scultura in legno intagliato e dipinto dell’Assunta (XVII secolo), opera attribuita a Nicola Fumo, scultore napoletano allievo del Fonsaga.
Volgendo lo sguardo verso l’uscita si noteranno il coro in legno (1750) e la tela del Riposo durante la fuga in Egitto, attribuita a Nicola Gliri nel XVII secolo. Il soffitto mostra all’interno di cornici mistilinee dei dipinti di fine Settecento: le Stimmate di San Francesco, la Vergine in gloria e la Resurrezione di Cristo. In alto sulla parete di destra, a metà altezza, sporge il pulpito anch’esso lavorato con intarsi lignei.
Spostiamoci sulla destra dell’edificio per proseguire la visita. Qui le prime due cappelle non sono profonde come le precedenti, si tratta semplicemente di altari a muro inseriti sotto delle arcate. Il primo altare è dedicato a San Marco, infatti un dipinto del Settecento con soggetto omonimo è riprodotto sull’ancona dell’altare. Lateralmente compaiono due santi cappuccini. Precisamente sulla sinistra si conserva la tela di San Fedele da Sigmaringhen e sulla destra San Serafino da Montegranaro. Il coronamento di altare riproduce una semplice Madonna con Bambino. La seconda cappella accoglie anch’essa un trittico con al centro una tela riproducente San Giuseppe da Copertino, anche se alcuni storici sono propensi a vedere nel dipinto San Giuseppe da Leonessa. Ai lati si collocano le tele di due santi taumaturgici; San Rocco a sinistra e Santa Bonosa a destra.
Arriviamo così all’ultima cappella, dedicata al Volto Santo e finanziata da Pietro Simeone, un ricco benestante e pio benefattore martinese del Settecento che qui si fece seppellire il 25 aprile del 1780, come ricorda la lapide affissa sulla parete di sinistra. La cappella è dominata dal coronamento dell’altare che raffigura la Madonna dei Sette Dolori, ossia l’Addolorata. La Vergine è coperta da un mantello scuro, con le mani giunte, ha un’espressione di profonda sofferenza e il petto trafitto da sette spade, che simboleggiano i sette dolori della Madonna (la profezia del vecchio Simone, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù a 12 anni, il suo viaggio al Golgota, la crocifissione, la deposizione della Croce e la sepoltura). Incastonati nella macchina lignea, ci sono diversi dipinti del XVII secolo; al centro, in basso, la Pietà e in alto la Flagellazione di Cristo, sulla sinistra, Cristo confortato dall’Angelo e sulla destra il Cristo deriso. In seguito al recente restauro è emerso che l’altare è dotato di un geniale meccanismo che permette di far ruotare la parte centrale, occupata dalla Pietà. Girando questo vano si apre un cilindro cavo che un tempo ospitava l’immagine del Volto Santo, una riproduzione su seta, che ora si trova nella chiesa del convento di Santa Maria della Misericordia. Il meccanismo serviva per l’esposizione del volto durante la devozione solenne nella settimana santa. L’intera cappella è decorata da affreschi del XVIII secolo. Nel mezzo della volta si ammira il Trionfo della Croce circondata dai Simboli della Passione e dai Quattro Evangelisti. Sulla lunetta di destra è dipinta l’Uccisione di Abele, mentre di fronte, sulla lunetta di sinistra, è raffigurato il Sacrificio di Abramo e Isacco. Sulla parete di sinistra, al centro, è affissa una scultura in legno policromo raffigurante il Crocifisso, realizzata con straordinaria fattura nel XVII secolo.
Martina Franca (Taranto)
Strada Cappuccini 33 74015 Martina Franca TA, 74015 Villaggio del Fanciullo Province of Taranto
GPS 40,71458 N 17,33768 Eaperto tutti i giorni
La redazione declina ogni responsabilità nel caso in cui le informazioni fornite su www.iltaccodibacco.it siano errate, mancanti o incomplete.
Progettato e realizzato in Italia - 2024 © - il Tacco di Bacco
Se hai stampato queste pagine, ricordati di cestinarle nel raccoglitore della carta.
If you print these pages don't forget to trash them in a recycle bin.