Lo straniero che è in noi: Apuleio ai “Classici DiVersi”
Per martedì 23 dicembre l’appuntamento con i volontari dell’Associazione Culturale Hermes Academy Onlus e gli attivisti di Arcigay Taranto è, come ogni martedì e giovedì mattina, dalle 10.30 alle 14.30 presso la sala didattica della Biblioteca Pietro Acclavio (in via Salinella #31), già Palazzo della Cultura, che, con il Patrocinio Morale del Comune di Taranto e dell’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Taranto, dallo scorso fine giugno accoglie le attività di sportello del Centro di Ascolto LGBTIQ di Taranto e provincia. Giovedì 25 novembre la biblioteca civica sarà chiusa, ma le due help line +39 346 622 6998 e +39 388 874 6670 sono attive 24 ore su 24.
Martedì 23 dicembre alle ore 11.00 presso la Sala Didattica della Biblioteca Comunale Pietro Acclavio, già Palazzo della Cultura, in Via Salinella #31 a Taranto, torna, con il ventesimo appuntamento, il ciclo “Classici DiVersi”, una serie di matinée dedicati ad autori classici (e meno classici) che hanno dato forma e colore alla diversità. Protagonisti dei precedenti incontri sono stati Saffo, André Gide, Robert Musil, Edward Morgan Forster, Herman Melville, Oscar Wilde, Hans Christian Andersen, Roberto De Simone, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Sandro Penna, Yukio Mishima, Christopher Marlowe, Virginia Woolf, Dante Alighieri, Alda Merini, Thomas Edward Lawrence, Jorge Luis Borges. Christopher Isherwood.
Nel corso dell’incontro culturale – che coinvolge alcuni studenti dell’I.C. XXV Luglio – Bettolo, del Liceo Archita, del’I.P.S.S. Liside, l’I.P.S.T. Cabrini, il L.E.S. Vittorino Da Feltre, il Liceo Aristosseno di Taranto, l’I.T.I. Pacinotti – l’attore Luigi Pignatelli darà lettura delle pagine più significative de La metamorfosi, conosciuto anche come L’asino d’oro, di Apuleio, scrittore latino di origine africana. Narratore abilissimo, è una delle figure più singolari della letteratura latina; il suo stile, ricco di accorgimenti retorici ma personalissimo, esercitò notevole influsso sulla letteratura successiva. Seguirà un dibattito. La partecipazione è libera e gratuita.
Proporre (o riproporre) un classico alla lettura dei più giovani, o alla rilettura di chi ne abbia già gustato le pagine, non è mai un’operazione neutrale; tanto più un classico così poco classico come Le Metamorfosi dell’africano Apuleio di Madaura, un romanzo che Sant’Agostino, attento studioso anche delle opere filosofiche di quest’autore che si autodefiniva Platonicus, definì L’asino d’oro. Esso ebbe straordinaria fortuna di lettori e critici per molti secoli, suggerendo trame e tecniche fin dal Medioevo al maestro della narrativa europea, il Boccaccio, che lo riscoprì, e fornendo a tanti artisti soprattutto del Rinascimento numerosi motivi ispiratori tratti dalle fabulae inserite nella cornice narrativa principale: uno per tutti, la storia di Eros e Psiche, la storia dell’incontro fra l’amore e l’anima. Eppure, questo straordinario libro ha avuto un destino abbastanza marginale nella scuola, che raramente lo propone nella lettura integrale (data anche la sua lunghezza) e spesso lo utilizza come repertorio di racconti, sulla scorta delle fabulae Milesiae di tradizione ellenistica. Ma una lettura dell’opera intera, anche in buona traduzione (da quella esemplare di Massimo Bontempelli a quella recente di Alessandro Fo, per non fare che due esempi), è godibilissima e permette di superare l’inevitabile frammentarietà di una scelta antologica, per soffermarsi poi, se possibile, sul fulgente latino di alcuni capitoli, perché la lingua di Apuleio è di una ricchezza davvero singolare.
Al protagonista Lucio viene strappato tutto se stesso: l’aspetto, l’esistenza, il nome, la possibilità di comunicare, l’appartenenza medesima al genere umano. L’aspetto esteriore soprattutto costituisce il segno naturale dell’identità, la riprova indiscutibile dell’essere se stessi e nessun altro, ma Lucio è ormai una bestia, senza più la parola, il logos, il contrassegno che distingue l’uomo dagli altri animali. La sua perdita d’identità, però, lo affligge, ma non lo stupisce e non perché è nel patto narrativo che in terra di maghi si narrino magie, ma perché la perdita d’identità nel mondo antico è spiegabile in un orizzonte culturale antropologicamente diverso da quello attuale, e comune semmai ad culture altre dall’occidentale moderna, poiché postula l’esistenza della magia e le attribuisce ciò che non si può spiegare razionalmente. Si chiariscono così il significato e la funzione della magia nel romanzo: rendere visibile l’invisibile. Lucio diviene asino perché una parte di lui è asino, gli è straniera, gli è nemica (come s’esprime Platone) e, nello stesso tempo, gli è indissolubilmente legata e anzi gli occorre. Non può espungerla da sé, come avrebbero voluto e creduto gli stoici, perché essa non è altro da sé. Deve sperimentarla: il voler conoscere tutto si estende alle proprie pulsioni, alla propria interiorità, che Apuleio oggettivizza nell’immagine dell’asino, della bestia che è in noi, rendendola chiara anche agli altri che vengono in contatto con l’animale: molti disprezzano l’asino, lo picchiano e torturano senza motivo, perché non sanno rapportarsi con l’alterità, anche quella che coltiviamo nel cuore, che in termini ostili: Bisogna pensare alla corporeità come a qualcosa di opprimente, pesante, terroso e visibile: Platone, nel Fedone, docet.
La curiosità di Lucio, metafora del voler conoscere tutto per amore d’esperienza e di verità, da improspera e soggetta alla fortuna cieca, può farsi alla fine ricerca della Verità in sé, perché sa accogliere anche, come stadio transitorio ma necessario, l’asino che si porta dentro.
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