dal 27 febbraio al 29 marzo 2015, il venerdì, il sabato e la domenica
I SOLDI NON DANNO LA FELICITA': Quando sono pochi!
Folklore e tradizioni
Teatro
con
Franco ACHILLE
Enzo CIRILLO
Giulio DI FILIPPO
Damiana DI MEO
Letizia DI MICCO
Nicla DI MICCO
Regia Marco Pilone
Acconciature: Elisabetta Bovio
Backstage: Giancarlo Dipierro
Costumi: Marianna Sicolo
Disegno: Giuseppe Del Curatolo
Impianto scenico: Matteo Mignoni
Light Designer: Francesco Achille
Scenografia: Antonio & Paolo Mastrapasqua
Ingresso Riservato ai Soci € 10,00
Prenotazione Obbligatoria
Inviare mail a info@teatromimesis.it
oppure telefonare al al 346.8259618
Una delle asserzioni più fastidiosamente ipocrite che siamo abituati ad ascoltare fin da piccoli è "i soldi non fanno la felicità". Una modo di dire che costituisce una odiosa convinzione limitante e che impedisce a molti di cambiare per sempre la propria vita, una frase che dovrebbe essere cancellata dal nostro vocabolario, e a cui bisognerebbe sempre rispondere: “se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria”. Una frase del grande Totò, che condensa in pochissime parole secoli di saggezza napoletana.
D’altra parte chi crede ancora che la felicità sia – più di ogni altra cosa – il grande amore o fare qualcosa di buono per gli altri, altro non è che un portatore sano di “creduloneria”. Creduloneria che, nel paese dei “furbi”, fa tanto rima con Clowneria. Essì, perché proprio come i clown, pure questi soggetti affetti da creduloneria, in equilibrio precario tra bei sentimenti e buoni propositi, suscitano quel mix di compassione e riso che accompagna le esibizioni dei pagliacci.
Basta con le ipocrisie: i soldi danno la felicità, anche a chi ne ha troppi.
Una famosa star di Hollywood, considerato tra gli uomini più facoltosi del pianeta (patrimonio stimato in 172 milioni di sterline, oltre 220 milioni di euro), intervistato dal giornale inglese The Sun, se n’è uscito con la frase: «I soldi non bastano mai».
Un luogo comune che, proprio perché tale, contiene una verità innegabile. Schopenhauer, filosofo tedesco nato sul finire del ’700, disse qualcosa di simile in un suo celebre aforisma: «La ricchezza assomiglia all’acqua di mare: quanto più se ne beve, tanto più si ha sete».
Ma anche questo motto non era nuovo. Infatti, moltissimi secoli prima dell’intelligentone teutonico, un poeta latino, Giovenale, osservò: «Quanto più i quattrini aumentano, tanto più ne cresce la voglia». Sarà perché la crisi economica non accenna ad andarsene, sarà perché molta gente è in bolletta più del solito, sapere che un signore, dall’alto di 172 milioni di sterline, sostiene di non aver denaro a sufficienza fa un certo effetto.
Se l’essere umano non è mai contento di quanto ha, significa che nemmeno la ricchezza rende felici? Tempo fa, il quotidiano cattolico Avvenire ha tessuto l’elogio della povertà che renderebbe tutti sensibili, solidali, sobri, attenti alle esigenze del prossimo. Insomma, più umani. La Stampa di Torino, per fare un altro esempio, ha titolato così un reportage ferragostano da Capri: «La Città regina delle vacanze si scopre più povera ma bella». Il sommario spiega: «Chi veniva qui per ostentare le sue ricchezze è scomparso. Tornano i vecchi riti e i vecchi look, e ora bisogna riportare in vacanza la classe media».
Indubbiamente il benessere diffuso aumenta la volgarità, la quantità dei rifiuti, contraddicendo la massima di Bacon: «Il denaro è come il letame, che non è buono se non è sparso». Ma è altrettanto indubbio che la società - non solo la nostra - vive di contraddizioni. Negli anni Cinquanta, alla vigilia del boom economico, la maggioranza degli italiani aveva le tasche vuote e tanta speranza in cuore. E chi rammenta quell’epoca ne ha nostalgia, giura che allora ci fosse più serenità, nelle famiglie occorreva poco, un pollo arrosto, vedere “Il musichiere” o “Rischiatutto”, spesso nelle abitazioni dei pochi fortunati, una fetta di panettone a Natale a garantire letizia e persino gioia.
Ma questi sono scherzi della memoria che, essendo selettiva, recupera soltanto i ricordi più gradevoli, quelli legati ai piaceri (pochi) della giovinezza.
La realtà era ben diversa e per nulla addolcita dalla mancanza di mezzi. Al contrario, dominava la tristezza, e le giornate erano lunghe e faticose, non esisteva la settimana corta. Il bagno era un lusso, i caloriferi pure, due vestiti nell’armadio, zero elettrodomestici, sei persone in un bilocale. L’orologio, la bicicletta erano uno status symbol. Piatto serale, la minestra. Poi a letto. Ecco, a grandi linee, queste erano le delizie della povertà, che non erano una eccezione, ma la regola.
Ora, come si possa rimpiangere quel periodo della nostra storia, ammantandolo di retorica, francamente è incomprensibile. Invocarne il ritorno è una follia. Guardare con disgusto i quattrini? È un esercizio ipocrita più che snobistico. E auguriamoci che il benessere, nonostante lo spread, non ci abbandoni. Intanto, riflettiamo con Rousseau: «Il denaro che si possiede è strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù ». Per quanto mi riguarda, posso essere d’accordo che il denaro non compra la felicità, ma esso certamente ti permette di sceglierti la tua forma di tristezza.
Buon divertimento.
Ingresso Riservato ai Soci € 10,00
Prenotazione Obbligatoria
Inviare mail a info@teatromimesis.it
oppure telefonare al al 346.8259618
TEATRO MIMESIS
Via Pietro Palagano, 53
76125 - Trani (BT)
dal 27 febbraio al 29 marzo 2015, il venerdì, il sabato e la domenica
Trani (Barletta Andria Trani)
Teatro Mimesis
via Pietro Palagano 53
ore 21:00
ingresso riservato ai soci
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