Giovanni Paisiello Festival 2018 - Agitati Tra Due Mari
Classica e Lirica
Concerti
FRANCESCO DIVITO, sopranista
LUCA PAROLIN,contraltista
“LE MUSICHE DA CAMERA”
Ensemble strumentale con strumenti d’epoca
EGIDIO MASTROMINICO, violino di concerto
GIOVANNI ROTA, violino di concerto
LEONARDO MASSA, violoncello
DEBORA CAPITANIO, clavicembalo
Emanuele Barbella
(Napoli, 1718 - 1777)
Sinfonia
Allegro Molto
Leonardo Vinci
(Strongoli, 1690 - Napoli, 1730)
Vo solcando in mar crudele
aria di Arbace da “Artaserse”
George Frideric Haendel
(Halle, 1685 - Londra, 1759)
Ombra mai fu
aria di Serse dal “Serse”
Son nata a lagrimar
duetto dal “Giulio Cesare”
Emanuele Barbella
(Napoli, 1718 - 1777)
Sonata IV in sol magg. Op.1
for two Violins and a Violoncello and Harpsichord
Allegro Moderato
Larghetto Andantino
Allegretto Spiritoso
Giovanni Paisiello
(Taranto, 1740 - Napoli 1816)
Se in arboscel foresto
barcarola di Tonina da “Le trame per amore”
Nicola Porpora
(Napoli, 1686 - 1768 )
Qual turbine che scende
aria a voce sola con strumenti da “Germanico in Germania”
George Frideric Haendel
(Halle, 1685 - Londra, 1759)
Lascia ch’io pianga
aria di Almirena dal “Rinaldo”
Emanuele Barbella
(Napoli, 1718 - 1777)
Non tanto allegro, con brio
dalla Sonata VI in Fa magg. degli Hamilton Trios
Antonio Vivaldi
(Venezia, 1678 -. Vienna 1741)
Vedrò con mio diletto
aria di Anastasio da “Il Giustino”
Riccardo Broschi
(Napoli, 1698 - Madrid 1756)
Son qual nave ch’agitata
aria di Arbace da “Artaserse”
George Frideric Haendel
(Halle, 1685 - Londra, 1759)
Per le porte del tormento
duetto di Sosarme e Elmira dall’opera “Sosarme”
«Con gli eunuchi
non c’è la noia
della barba»
Estasi teatrale
e socratica
licenziosità
di Attilio Cantore
Io non so esprimermi meglio che dicendoviche v’amo quanto merita d’essere amato Farinello.
Ma sospendiamo queste tenerezze, affinchéqualche maligno non ci appicchi un’impostura.
MetastasioAd ascoltare i castrati si diventa per forza di cose quantomenoprovetti sodomiti, giacché «non si può negare che la musicateatrale de’ nostri tempi non si sia condotta ad una smoderataeffemminatezza» (Ludovico Antonio Muratori, Della perfettapoesia italiana, 1706). Fra un fiorito andamento terzinato e ungaio riso che squilla repente, nell’osservare «cortesemente»durante un’esecuzione canora questi divi imberbi e svettanti– questi «soprani sbarbatelli», merce made in Italy richiestissimadallo star system operistico barocco – si finisce colmeditare impudiche liaisons e concubinaggi malandrini, adesiderarne bramosamente – lo si dica pure con filosofica inverecondia– oltre che la loro voce angelica – né fanciullesca,né maschile, né femminea – anche «qualch’altra parte». Per 34celia, chiosando con malizia certi versi sagaci di Ripellino, lospettatore direbbe a tal proposito: «Non considerarmi peròuna Pazza di teatro, / perché altre cose mi incantano, fuori dalpalcoscenico». Pressoché questa, un po’ all’ingrosso e un po’al dettaglio, era la vulgata dominante fra Sei e Settecento, opiù che altro un argumentum ad ignorantiam gloriosamentesugellato dalle parole di Montesquieu: «nulla (che io sappia)ispira più [dei castrati] l’amore filosofico». D’altronde un fon-do di verità ci sarà stato se poi il così morigerato presbiteroLudovico Antonio Muratori venne sedotto, senza che apote-carie ricette potessero salvarlo, da l’audace de la jeunesse edall’irresistibile fascino ermafrodito del giovane castrato LuigiAlbarelli, del quale un giorno, colto da certa murmurazione diincanti dopo la rappresentazione di una Penelope la casta alTeatro Ducale di Milano, scriveva all’amico Gian Giacomo Tori,confidente sensibile a tali argomenti sibillini, che nel frattemposi trovava a Modena.
Non so distormi dal parlar di Luigino, poiché i Milanesi ado-rano più che mai la sua voce e qualch’altra parte di lui. Midicono essersi sparsi sonetti troppo amorosi sopra di lui […]Credo v’abbia più d’un Socratico, che il miri cortesemente. Ioper non entrar in questo numero non sono gito né a veder lui,né Siface [il castrato Giovan Francesco Grossi].
In filigrana si scorge una arbitraria timidezza che nega ognipossibile vezzeggiamento, che preferisce la cedua cedevolezzadi una resa all’azzardo imprevedibile di una cattura. Ma di ‘so-cratici’ (così ci si riferiva gentilmente agli omosessuali, primadel 1869) in fin dei conti ne è pieno il mondo. La soddisfazio-ne non è una tabellina a memoria: sarà per il prossimo castra-to! Questo “amor socratico”, fatto di estasi teatrali e amplessidi velluto, non è poi così scandaloso come si crederebbe: celo conferma anche Giacomo Casanova, che nelle sue memoriericorda perfettamente che un tale monsignore con teologaleinfallibilità sosteneva, sicuro, la seguente teoria:
Non sarebbe possibile senza dar scandalo invitare a cena aquattr’occhi una bella cantante. Invece si può offrire la cena aun castrato. È vero che poi si va a letto con lui. Ma tutti devonoignorarlo. E se la cosa si viene a sapere non è possibile giura-re che ci sia stato del male, perché in fin dei conti è un uomo,mentre non si può andare a letto con una donna se non pergoderne.
Last but not least, sappiamo che neppure il giovane scultoreSarrasine – dell’omonima novella di Honoré de Balzac – è riu-35scito a sfuggire, eziandio, a Zambinella, avvenente castrato ro-mano, creduto erroneamente (?) una donna. Non c’è stato nullada fare: «Quando la Zambinella cantò, fu un delirio». È propriovero allora che l’omosessualità è un modo di cantare - perriprendere il titolo di un bellissimo saggio di Davide Daolmi edEmanuele Senici, citazione di una frase del poeta e critico let-terario statunitense Wayne Koestenbaum, tratta da The Queen’sThroat: Opera, Homosexuality, and the Mystery of Desire.
La pratica del cross-sexual casting, unita a quella del crossdressing,era di certo fra le caratteristiche più peculiari e sedu-centi dell’opera seria italiana: operava una rimozione omoses-suale, in senso sia maschile che femminile, ammettendo senzaproblemi che un ruolo venisse interpretato da un cantante disesso opposto, con un corollario di costumi, trucco e parrucco“genederizzato”, presumendo che il pubblico, già affatturato dauna mirabolante intelaiatura scenografica, «non sarebbe statodisturbato da contraddizioni tra l’identità sessuale del perso-naggio presentato ed il sesso effettivo dell’artista» (DorothyKeyser, Cross-Sexual Casting in Baroque Opera, 1988). Non èuna novità: après tout, le theater n’est-il pas le monde de l’il-lusion? Nell’opera il cantante è un divo conclamato: ne nascetutta una mitologia dell’interprete, che diventa personaggiovivente e con la sua personalità sovrasta addirittura il caratteredell’eroe interpretato, divenendo l’oggetto estetico da ammirare(e desiderare), giacché nella voce, «calda materia ed emul-sione vivente, […] capeno tutte le nostre passioni» (Delminio,L’idea del theatro, 1550).
L’emissione canora è di per sé esibizione acustica di corporei-tà: […] flusso corporeo scaturito dalle cavità più riposte, chene determinano la peculiare “grana” […]; non timbro generi-co, precodificato dalla tecnica costruttiva degli strumenti, mapeculiare ed esclusivo, altamente individualizzato, immagineacustica di una specifica carnalità […], la quale serba queltanto di materiale, di “penetrativo”, da consentire un’eccitantefrizione col corpo sensoriale dell’ascoltatore. (Marco Beghelli,Erotismo canoro, 2000)L’immaginazione del pubblico, eccitata non meno di quelladel Sarrasine di Balzac, ha lunghi guinzagli. L’omosessualitàsi declina sublimemente come desiderio, comportamento edespressione. Per alcuni fans – di sesso maschile, per lo più– la voce diviene pertanto il simbolo dell’oggetto da “possede-re”. Da cui la celebre e ambigua dicitura inglese The Queen’sThroat, ‘la gola della regina’ [del palcoscenico], ovvero della 36“checca”: fonte canora da cui trarre piacere estetico oltre cheorifizio erotizzato. La voce, d’altronde, è di per sé uno dei caratterisessuali secondari. E giacché il “diverso” è sempre fontedi meraviglia, nei modelli vocali che più si allontanano daglistandard sessuali risiede storicamente, non a caso, la maggiorecarica erotica possibile. Si tratta dei cosiddetti hors sexe dicui parla nel 1986 Michel Poizat in L’opéra, ou Le cri de l’ange:da un lato le voci maschili acute (il timbro “innaturale” degliantichi castrati, poi rimpiazzato da altrettanto “innaturali”estremi acuti tenorili ma resuscitato nei falsetti languidi degliodierni controtenori e in quelli esasperati dei cantanti pop);sull’altro fronte le voci femminili gravi (dai contralti operisticialle voci roche della moderna canzone internazionale).
Per adolescenziale fatalità di brutale orchiectomia, le voci deivari Carlo Broschi (Farinelli), Francesco Bernardi (Senesino),Gaetano Majorano (Caffarelli), Giovanni Carestini (Cusanino),Giacinto Fontana (Farfallino), Giovanni Manzuoli (Succianoccioli)e Mariano Nicolini (Marianino) divengono allora ilfulcro necessario e imprescindibile di un ideale erotico extraordinario,sostanzialmente “deviato”. Più tardi, il pubblico sperimenteràsimili pulsioni catessiche, ad esempio, con la voce“ermafrodita” di quel personaggio mitologico che fu MariaMalibran («ermafrodita armonica, / voce che ugual non ha»):una voce talmente duttile che le permetteva di eseguire ruolida soprano, da contralto e da tenore (il Gualtiero de Il pirata).
E che dire infine di Barbara e Carlotta Marchisio, le formidabilisorelle piemontesi, «dilette amiche [di Rossini] ed incomparabiliinterpreti, posseditrici di quel cantar che nell’anima sisente», le quali nella Semiramide erano calate nei panni diuna madre e di un figlio duettanti in musica note d’amore – offrendo,secondo la suggestione di Marco Beghelli, «un incestoal quadrato».
Taranto (Taranto)
MuDi - Museo Diocesano di Taranto
Vico Seminario I, Centro storico, Taranto
ore 21:00
ingresso a pagamento
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