il Tacco di Bacco

Sergio Rubini a Taranto, la Puglia dimenticata di Matteo Salvatore torna a vivere nello spettacolo “Di Fame di Denaro di Passioni”

Sergio Rubini a Taranto, la Puglia dimenticata di Matteo Salvatore torna a vivere nello spettacolo “Di Fame di Denaro di Passioni”
La Puglia dimenticata di Matteo Salvatore torna a vivere nello spettacolo “Di Fame di Denaro di Passioni” di Sergio Rubini "Matteo Salvatore è l'unica fonte di cultura popolare, in Italia e nel mondo, nel suo genere. Noi dobbiamo ancora inventare le parole che dice Matteo Salvatore”. É così che Italo Calvino definisce Matteo Salvatore, affascinante, geniale e sregolato cantautore delle Puglie. E ancora. "Il più grande cantore sullo sfruttamento". Vinicio Capossela. "Matteo Salvatore è un artista assolutamente straordinario". Francesco Guccini. E di lui ne ha parlato anche Sergio Rubini, anzi ha proprio creato attorno alla sua figura uno spettacolo che ha portato in scena martedí 15 novembre 2011 al Teatro Orfeo di Taranto. "Di fame di Denaro di Passioni": un pugliese che racconta un altro pugliese, che cerca, attraverso l'Arte de Teatro (quella del Rubini) e l'Arte della Musica (quella del Salvatore - qui magistralmente interpretata e riarrangiata da Umberto Sangiovanni – pianoforte e composizione, Gabriella Profeta – voce, Stefano Nunzi – contrabbasso) di restituire giusto merito ad un genio troppo velocemente dimenticato. In un viaggio immaginifico nel Gargano degli anni '20, la voce scura di Sergio Rubini racconta la nera miseria degli analfabeti pugliesi, i "cafoni", quelli che la vita toglie tutto e restituisce niente, quelli che cercano riscatto oltre confine, nella Germania, quelli che rubano l’amore nei campi e che poi riparano con il matrimonio, quelli che sognano una vita migliore, un'opportunità di riscatto, perché sognare è l'unica cosa che ancora non si paga. E sempre le parole di Rubini, alternate alle suadenti ballate di Matteo Salvatore, ci catapulta nelle vicende della vita di questo anarchico che canta la Puglia: nonostante fame, la miseria, i lutti, il carcere, mai si prova compassione per questo povero dei poveri di Puglia, forse perché se ne percepisce la ruffianeria, la sbruffoneria, la furbizia, quella stessa furbizia che sin dagli esordi ne caratterizzerà la carriera (alla richiesta di Giuseppe De Santis di raccogliere registrazione di canti popolari pugliesi per un suo film, Salvatore si presenta con canti da lui composti spacciandoli per arie raccolte nelle cantine della regione). Ma forse proprio da questo si coglie la persistente grandezza di Matteo: nella sua irriducibilità, anzi nella sua imprendibilità. Così forse lui si è difeso per tutta la vita da un mondo che non è mai riuscito a capire o anche solo ad accettare nella sua complessità, rimanendo il solo, l'unico vero cantante popolare italiano, non cellofanato né dalla consapevolezza e dalla ricerca culturale né dall'industria discografica e dello spettacolo. E' rimasto quello di sempre: solo, disperato, intrattabile. Rimane da dire di quello che Matteo, con le struggenti canzoni sulla vita dei campi, sulla povertà delle plebi e sull'emigrazione, con le sue ballate, i suoi stornelli e le sue ninnenanne, rappresenta per noi pugliesi. E' difficile dirlo, in considerazione anche qui di una potente contraddizione: il fatto che la sua produzione rappresenti di fatto un nucleo fondamentale della nostra identità possibile (si pensi solo a Lu soprastante, Padrone mio ti voglio arricchire, Lu polverone, Lu furastiero, Tarese, Pettotondo...) e il fatto che la gran parte dei pugliesi non lo conoscono se non, in rari casi, per la sua produzione più divertente e a doppio senso. La speranza la riponiamo nella voce narrante di un superlativo Rubini che ben interpreta e intuisce la quotidianità di quella Puglia che oggi sembra così lontana, come i versi di quel cantastorie degli “ultimi” riesumati sul palco di un teatro che parlando di “prima, seconda, terza qualità pasta nera vulessè almeno magnà” restituiscono una fotografia di quella condizione, di una scala sociale troppo rigida, di una terra affamata, che vive alla giornata e che “fatij fatij nun magn maj”. Versi che brillano di una bellezza sofferente che torna a risplendere sul palco con Rubini. Barbara Serio Pasquale Convertino

16/11/2011 11:51

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