foto: Francesco Torricelli
DOPO AVER ASSISTITO A QUESTO LIVE POSSO ANCHE MORIRE (…FORSE): MARK KNOPFLER E BOB DYLAN IN CONCERTO IL 12 NOVEMBRE AL PALALOTTOMATICA DI ROMA
Un evento storico, quello di sabato 12 novembre 2011 al Palalottomatica di Roma, di quelli da segnare in rosso sul calendario, che ha visto sullo stesso palco due rocker storici, anzi di più, due pietre miliari della storia della musica mondiale: Mark Knopfler e Bob Dylan.
L’unicità di un tour come questo la si percepisce sin dai cancelli d’ingresso: un eterogeneo mix di fan, chi con il cappello da cowboy, chi con la fascia annodata alla fronte, chi ha meno di 14 anni ed è arrivato al concerto accompagnato dal papà e chi ne ha più di 60 di anni, tutti in attesa di accaparrarsi i primi metri sotto il palco, facendo la fila (stranamente educata) sin dal pomeriggio.
Nel parterre la dimensione è quella dei grandi eventi: 7 i componenti del
gruppo di Mark, il primo a esibirsi nella serata, con una miriade di chitarre che fremono il suo arrivo sulla scena.
Ed ecco che il riflettore si accende e 12.000 fan si scatenano: sul palco Mark Knopfler. La fascia annodata tra i capelli ha lasciato il passo a una discreta camicia scura, perchè il tempo passa anche per le leggende del rock, ma la chitarra e la voce (inconfondibili) sono quelle di sempre.
E’ il riff micidiale di “What it is” ad aprire il concerto e che subito preannuncia una scaletta ricca di virtuosismi frutto del grande feeling con
il resto del gruppo, con il quale pare divertirsi davvero molto.
Dei noti Dire Straits ci regala solo l’applauditissima “Brothers in arms” e il brano che chiude il concerto, “So far away”; per il resto il live ripercorre la carriera solista della rockstar, attraverso brani conosciuti come “Sailing to Philadelphia” o pezzi folk, che omaggiano le sue radici scozzesi come “Hill Farmer's Blues”. Folla in delirio per l’inedita “Privateering”, dominata dal suono della cornamusa, che riporta ad atmosfere country irlandesi.
La disinvoltura con cui passa da pezzi come “Haul away” lenti e sussurrati a
pezzi come “Cleaning my gun” in cui esprime la sua grinta come rocker, ci
mostrano un Mark ancora in forma.
Il suo tocco è ancora perfezione assoluta e inimitabile, che rende Mark Knopfler
riconoscibile sin dalla prima nota: non sbaglia una corda, come tutta la sua band d’altronde che, in un pezzo country come “Marbletown”, regala un momento di pura magia con un il duetto tra contrabbasso e violino, che rapisce i 12.000 fan al punto da far calare su tutto il Palalottomatica un silenzio tombale (da concerti di musica sinfonica).
Un Mark che infervora gli animi e che, dopo un’ora e mezzo di spettacolo, lascia la scena al suo mito: Bob Dylan.
Al cambio palco, cambia tutto: luci rosse danno la scena a Dylan che, con
marcia decisa, entra in scena supportato per i primi tre pezzi dalla chitarra
di Mark.
I pezzi in scaletta ripercorrono i 40 anni di carriera del menestrello d’America: Mr Tamburine, attraverso 15 brani storici, da “Sugar Baby” a “Don’t Think Twice, It’s All Right”, da “Ballad Of A Thin Man” a “Honest With Me” - che dobbiamo ammetterlo, a volte sono stati più gracchiati che cantati, ripercorre le varie metamorfosi che la sua identità artistica ha subito nel corso della sua esistenza, da paladino folk dei diritti civili a profeta elettrico degli anni ‘60, da bluesman a cantante di gospel cristiano.
Certo, il Bob Dylan poeta visionario all’anfetamina di Like a Rolling Stone o quello brutalmente realista di Blood on the Tracks o quello blakeano di Time out of Mind sono ricordi lontani: qua c’è un anziano signore che ci ha tenuto compagnia per un’ora e mezzo, portandoci in un mondo antico, oggi scomparso, un mondo dove era possibile essere “insieme attraverso la vita”. Lui, la sua vita l’ha spesa tutta insieme a noi. E tanto, in tempi poveri di immaginazione e soprattutto di cuore, ci basta. Ci deve bastare.
Pasquale Convertino
Barbara Serio