Una città turbata, che reagisce al colpo subito con l’universalità della cultura: La prima mondiale della Divina Commedia di Nekrošius a Brindisi.
La prima mondiale della Divina Commedia di Nekrošius al Teatro Verdi di Brindisi.
Una città turbata, che reagisce al colpo subito con l’universalità della cultura.
di Dalia Trisuilla
Nel profondo turbamento dato dalle immagini dei fogli sparsi sull’asfalto, non ho potuto far altro che recarmi verso quello che tutti avremmo evitato come luogo della croce di Brindisi.
Ho visto il marciapiede pieno di colori, fiori, messaggi. Al centro la foto di una ragazza strappata alla vita, dall’assurdità della violenza studiata, della rabbia covata, dei fraintendimenti dei mezzi da usare per liberarsi dall’equivoco di non esistere, se non attraverso il clamore.
Era una ragazza che si recava a scuola. Perché la scuola è il regno quotidiano della cultura, il simbolo della coscienze che armate di mezzi, prendono consapevolmente in mano il proprio destino, per cambiarlo insieme verso il meglio.
Ieri al Teatro Verdi di Brindisi c’erano tanti ragazzi. Provenivano da tutta la Puglia, c’erano tanti giovani accorsi, per guardare ed ascoltare la prima del maestro Eimuntas Nekrošius, dell’opera letteraria per eccellenza: la Divina Commedia. C’era la gens scenica proveniente da tutt’Italia. Un bel biglietto da visita per una città che vuol candidarsi ad essere capitale europea della cultura e reagire alla barbarie di eventi imprevisti.
Confesso di avere peccato. Sono rimasta traviata, mi duole dirlo, di fronte al mio superficiale ricordo liceale della Divina Commedia e alla sua messa in scena attraverso il verbo lituano. Ero divisa tra i “sopratitoli” e il palco, con l’effetto di scollegare scena a significati. I corpi degli interpreti tuttavia comunicavano quanto era impresso intrinsecamente in quei versi.
È stata una reinterpretazione bohemien della Divina Commedia, attraverso L’Inferno e il Purgatorio, con un Dante rivestito nei panni di poeta tormentato nella sua duplice vocazione verso Beatrice e la poesia. Perché la Divina Commedia è poesia pura, sono metafora, i significati e i simboli misurati da metrica, rima e ritmo che solo la lingua originale è capace di trasmettere per intero.
Eppure la poesia dei significati non è stata spezzata dalla diversità della lingua. Erano graffianti gli ignavi che si scontrano paurosamente contro il muro che rifletteva la loro immagine tenendoli imprigionati nella loro incapacità di decidere e Caronte sceso rabbiosamente nei panni di uno scaricatore di porto. Eppure quella cruda realtà scenica è anche la proiezione di una possibile speranza. Perché la speranza è in ognuno di noi, anche nell’essere apparentemente più spregevole, perché se è guidato dall’amore, ognuno potrebbe essere capace di vivere veramente e fare della sua vita poesia.
Virgilio più che il poeta dell’Eneide è un allegro compare di bevute, l’artificio dialogante per un Dante perduto a cercare la sua vis poetica, ad incontrare le passate genti narranti, i personaggi che in vario modo hanno solcato la storia o lasciato cicatrici profonde nel suo vissuto e in quello della sua contemporaneità corrotta.
La reinterpretazione in chiave fine ottocentesca, è una rappresentazione dell’attuale decadentismo e di quanto l’attinenza di quel luogo scenico pervada il sogno di ispirazione alla vita attraverso l’amore, come l’amore per Beatrice, canterina e sfuggente, o come l’amore di Paolo e Francesca, scesi in sembianze adolescenziali.
Il pubblico dopo quattro ore ha applaudito la fine, quella di scriver nuove pagine attraverso la nostra vocazione alla bellezza. Una fine interrotta nel Purgatorio, così come quello nel quale traffichiamo, perché questo è un invito ad uscirne attraverso la condivisione.
Perché in questa città ferita, questa prima mondiale possa dare alla cultura e alla convivenza un nuovo inizio.
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