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Zaira la "pasionaria"? La tragedia di Bellini, rappresentata al Festival della Valle D'Itria, riaccende il conflitto religioso fra Oriente e Occidente

Zaira la "pasionaria"? La tragedia di Bellini, rappresentata al Festival della Valle D'Itria,  riaccende il conflitto religioso fra Oriente e Occidente
La prima volta, questa tragedia in due atti, fu rappresentata in occasione dell’inaugurazione del Nuovo Teatro Ducale di Parma nel 1829. L’opera non suscitò l’entusiasmo sperato e fu in parte dimenticata, fino a quando Bellini non la fece rivivere, riutilizzandone in parte le melodie ne “I Capuleti e i Montecchi”, che si rivelò un successo. Già precedentemente, nel 1732, la storia di Zaira era stata raccontata da Voltaire, che colse l’occasione per esprimere la sua opinione riguardo le questioni di fede. Ma nel libretto di Felice Romani, che riadattò la vicenda assieme al maestro Vincenzo Bellini, delle speculazioni del filosofo resta ben poco e l’attenzione è tutta riversa sulla protagonista. Zaira è una schiava francese, di credo cristiano, che si accinge ad abiurare la sua fede per sposare il sultano di Gerusalemme, Orosmane. Nonostante la conversione di Zaira, gli ufficiali del sultano, in particolare il visir Corasmino, non vedono di buon occhio questo matrimonio. Corasmino farà di tutto per impedire l’unione e farà credere a Orosmane che vi sia una relazione tra Zaira e Nerestano, un cavaliere francese, che in realtà è il fratello ritrovato della ragazza. Infatti si scoprirà che Zaira è la figlia di Lusignano, principe discendente dalla stirpe degli antichi re di Gerusalemme, alla quale, sul letto di morte, la protagonista giura di non abbandonare la fede dei suoi antenati. Zaira si trova a vivere un conflitto interiore: l’essere donna si oppone all’essere figlia, l’amore di coppia si oppone all’amore paterno, le sue scelte personali sono in contrasto con gli ideali della sua gente. E’ una donna che, come molte donne, si trova a dover scegliere tra la sua felicità e il bene dei suoi cari. E come tante donne si sacrifica. In conclusione si compie la tragedia: il sultano ucciderà l’amata, credendo che lei lo stia tradendo con Nerestano. Si renderà conto, solo dopo averla trafitta, del terribile errore. Ma è necessario sottolineare che Zaira, prima di morire, ha già preso la sua decisione: andrà via con il suo popolo, rinunciando al matrimonio con il sultano. Dunque dimostra di essere una donna di coraggio, che sa che ci sono casi in cui è più importante il dovere. Zaira è un’eroina che oggi, forse, qualcuno definirebbe una pasionaria. Nella messa in scena in questa trentottesima edizione del Festival troviamo Rosetta Cucchi alla regia dello spettacolo, invece le bellissime e sorprendenti scene sono di Tiziano Santi e alla direzione dell’orchestra è affidata al giovanissimo e blasonatissimo Giacomo Sagripanti. Il tema portante, che riguarda l’intera manifestazione di quest’anno, tratta l’incontro e il dialogo fra Oriente e Occidente, anche se la storia di Zaira, di fatto, è una mancata integrazione. Per questo motivo le scelte di regia, che la critica non ha apprezzato, hanno in qualche modo cercato di porre l’accento sulla questione del bipolarismo culturale fra Cristianesimo e Islam che tuttora viviamo, creando una storia parallela, soltanto mimata, che racconta il sequestro di una reporter da parte di alcuni integralisti islamici. La vicenda dei figuranti è stata inserita in un doppio contesto scenografico, d’effetto sì, ma probabilmente fin troppo articolata e viva da catturare esageratamente l’attenzione dello spettatore a discapito dei cantanti, in particolare un bravissimo Enea Scala nel ruolo di Coramino. Il destino della reporter s’intreccia con quello di Zaira (infatti s’intende che nasca una storia d’amore tra la prigioniera e uno dei fanatici) fino, purtroppo, a combaciare: la ragazza muore per mano dell’amante/carceriere. Forse per dare un vero segnale di cambiamento e dare un’opportunità all’integrazione, conveniva allontanarsi dalla realtà dei fatti di cronaca e, a differenza della povera Zaira, far sopravvivere la reporter e dare una speranza all’amore che a volte è l’unica risorsa contro l’odio e la paura. Angela Maria Centrone

31/07/2012 14:39
Alessandro

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