il Tacco di Bacco

Festival della Valle D'Itria: l’Orfeo di Fabio Ceresa è l’emblema dell’Arte da salvaguardare, nutrire e accrescere

Festival della Valle D'Itria: l’Orfeo di Fabio Ceresa è l’emblema dell’Arte da salvaguardare, nutrire e accrescere
“L’Orfeo, immagini di una lontananza” è uno di quegli spettacoli che dona allo spettatore un senso si soddisfazione, di pienezza, di arricchimento, di sazietà. Il dramma di Orfeo e della sua sposa Euridice è celebre: i due stanno per sposarsi, ma Venere e un satiro tramano contro il loro amore, perciò decidono di aiutare Aristeo a conquistare Euridice con l’inganno. Andrà a finire che Euridice rimarrà uccisa dal morso di un serpente, Aristeo diverrà pazzo e, com’è noto, Orfeo scenderà negli Inferi. Nonostante la concessione di Plutone e Proserpina, commossi dal suo canto sublime, non riuscirà a riportare in vita l’amata, perché per l’impazienza si volterà a guardarla prima di essere fuori dal Regno dei morti, così la sventurata Euridice sarà condannata a rimanerci. Su commissione del Festival della Valle d’Itria, il giovanissimo regista Fabio Ceresa (classe ’81) ha ripensato e riscritto il libretto seicentesco di Francesco Buti, mentre Daniela Terranova si è occupata di riadattare la parte musicale che all’epoca fu composta da Luigi Rossi. Il risultato è uno spettacolo apparentemente minimalista, ma da cui traspare uno studio quasi maniacale per i particolari: l’opera è stata drasticamente ridotta, come il numero dei personaggi, la durata è di esattamente settanta minuti, tempi ristretti nei quali anche il singolo gesto ha un potente valore simbolico/evocativo. Anche le scene sono semplici, essenziali, ma allo stesso tempo si evolvono con l’evolversi della vicenda, gli oggetti sono parte integrante della trama e le luci svolgono un ruolo fondamentale. E’ evidente il connubio perfetto tra la regia di Ceresa e le scenografie, sempre meravigliose, di Benito Leonori. Il colpo di genio di Ceresa sta nell’aver riscritto i recitativi rendendoli parlati, lasciando invece intatte le arie principali, come lo splendido coro finale “Dormite, begli occhi”. Esilarante la trovata di aver affidato il ruolo comico della dea Venere ad un tenore en travesti, in questo caso un brillante Giampiero Cicino, che assieme al satiro e al buffo Aristeo, costruisce dei siparietti divertenti e allo stesso tempo un po’ grotteschi, degni di un tè dal Cappellaio Matto di “Alice nel paese delle Meraviglie”. La stessa scelta dei costumi è allegorica, d’impatto, esteticamente impeccabile: la dea Venere è l’unica in rosso, un rosso scuro, brillante che risalta nel bianco candido della scenografia e degli altri costumi, la sua figura domina la scena come il Diavolo in Paradiso. Insomma “L’Orfeo: immagini di una lontananza” è assolutamente consigliatissimo: diverte, emoziona e commuove. Questo accade quando tutti i reparti funzionano sinergicamente e lavorano in armonia grazie al coordinamento di un regista che riesce ad appassionare i suoi artisti. Il valore aggiunto di quest’ultima opera in cartellone è che si tratta di un allestimento giovane, ma che dimostra grande professionalità: dal regista ai protagonisti, che sono tutti allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, fino ad arrivare al talentuoso direttore d’orchestra Carlo Goldstein. Così come Orfeo negli Inferi, emblema della forza dell’Arte, questi ragazzi dimostrano che è importante salvaguardare il genio, le idee, l’innovazione ed un Paese civile non può rinunciarvi. Angela Maria Centrone

01/08/2012 16:54
Alessandro

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