Premetto che non era la prima la volta che assistevo ad un concerto del violoncellista palermitano. Posso dire che seguo Sollima già da diversi anni, l’ho potuto apprezzare a diverse latitudini e più o meno in tutte le sue vesti, da quelle serie a quelle “semiserie”, come compositore, in orchestra, in duo, ottetto…e da solista.
Il concerto a cui ho assistito ieri sera a Monopoli per la rassegna musicale “ Ritratti”, mi ha dato conferma di quanto iniziavo a sospettare da tempo su Giovanni Allevi,…pardon, …volevo dire Giovanni Sollima.
Vorrei partire a ritroso. Mentre guadagnavo l’uscita, mi è arrivato alle orecchie un commento da parte di uno dei tanti spettatori presente all’evento, per esteso: “ Un musicista di grande talento ma anche un personaggio”. Penso che in questa spontanea dichiarazione ci sia la sintesi di quanto andrò a sottolineare più avanti.
Ho sempre visto Sollima come un musicista di spessore, un artista moderno e completo, capace di percorrere con disinvoltura linguaggi differenti, forte di una solida base tecnica e culturale sulla quale ha saputo intelligentemente costruire negli anni la propria personalità ed una chiara identità stilistica. Come dire, anche noi abbiamo il nostro Nigel Kennedy da vantare; Sollima gode infatti di una certa reputazione anche oltre i confini nazionali.
Su questo la mia posizione non cambia, non oso mettere in discussione le sue qualità musicali, ma dopo ieri sera mi sono chiesto cosa stesse succedendo nella mente di questo acrobatico performer e soprattutto perché.
Il violoncellista/compositore, adesso anche docente a S. Cecilia, penso si stia uniformando a quella che è ormai la moda del momento: “l’allevismo”. Diventare appunto “personaggi”, come diceva il signore alle mie spalle, pare sia la formula che vada per la maggiore. Quel triste passaggio in cui si viene ricordati non più per quello che si è ma per quello che si fa...e si dice..
Sale sul palco con un’immagine da artista svampito, disordinato, che non sa cosa deve suonare, che dimentica le cose, che da’ l’idea come se si fosse svegliato da 5 minuti facendo credere di trovarsi lì per caso..,che scimmiotta ridicoli siparietti da cabaret, che incita il pubblico a battere le mani a tempo (come al karaoke), che cerca la battutina, la risatina, che impressiona con numeri da richiamo circense….un repertorio di bassa levatura generalmente in dotazione a chi ha poco da raccontare, …con la note.
Non sarebbe il suo caso ma è quello a cui ho stranamente assistito, molto contorno rispetto a quello che doveva essere il piatto principale. Ad ogni modo, tutto già visto e rivisto, collaudate tecniche nazional-popolari per accattivarsi un certo tipo di pubblico, ma non tutto…Ha fatto esattamente tutto ciò che da artisti di quel calibro proprio non mi aspetto, a maggior ragione se non ne hanno bisogno, e lui, sottolineo, non ne ha bisogno!
Mi sono recato con l’idea di andare a sentire un concerto comunque di musica impegnata, predisponendomi quindi ad un certo tipo di ascolto, ma ne sono uscito alquanto deluso. Quel tipo di gestione, rasente burattinaia, mi ha lentamente allontanato da ciò che mi aspettavo di ricevere e soprattutto da un’idea ormai remota che mi ero fatto del “personaggio” in questione.
La trasmissione emotiva, la credibilità tra chi è seduto sul palco e chi di fronte, viaggia di pari passo con l’intenzione e il modo in cui ci si propone. Penso ne abbia risentito molto la godibilità dello spettacolo, …mi riferisco alla parte prettamente musicale, tra una gag e l’altra si perde un po’ il filo del discorso, dimenticando quasi il motivo per il quale si è li. ..ah si, Barock cello. Se qualcuno dovesse chiedermi nello specifico cosa ha suonato farei quasi fatica a rispondergli.
Mi è sembrato tutto frammentato, con continui sobbalzi emozionali e alimentato da un senso d’improvvisazione generale. Un evolversi un po’ disordinato, confuso, dopo un po’ si fa fatica a seguire, a stargli dietro…soprattutto se si è lì per ascoltare musica di un certo tipo, fatta in un certo modo, e non per trascorrere in maniera diversa una calda sera d’estate. La gente sembrava divertirsi, ascoltava nell’attesa dell’ennesima trovata. Personalmente a certi concerti non voglio ridere, posso al massimo sorridere, …andrei a sentire altro nel caso.
Il massimo si è ottenuto con l’interpretazione di un famoso Ragtime con tanto di mimica facciale ( mi ha ricordato il Satchmo dei tempi migliori)…vedere la signora al mio fianco che mi sorrideva divertita da quell’ascolto cercando il mio tacito consenso, cosa che in genere si da’ rispondendo con altrettanto finto sorrisino di circostanza, mi ha letteralmente dato la botta finale ( e non era il bis…, ndr!).
E in tutto ciò continuavo a chiedermi: perché?
Non vorrei pensare di lui in questi termini, ma a volte mi viene da credere come se certi artisti decidessero il trattamento da riservare in base al pubblico che hanno di fronte e alla piazza in cui si trovano, scegliendo di volta in volta la giusta maschera da indossare e le carte da giocarsi. Come spettatore mi sono sentito in parte sottovalutato, per non dire altro... Credetemi, ho avuto occasione di ascoltare Sollima in contesti di altro tipo, in sale di un certo prestigio, in grandi città del nord, sinceramente non ho mai assistito allo “show” che ha proposto ieri sera (a parte qualche avvisaglia in un concerto anni fa sempre d’estate ad Alberobello).
La controprova di quanto esposto sopra in genere la ho nelle ore successive all’evento. Se la manifestazione ha espresso alti contenuti, in genere mi rimane qualcosa addosso, nel caso contrario non mi rimane niente. Personalmente non penso di aver assistito a qualcosa di memorabile, di questo evento ricorderò solo molto intrattenimento.
Per quanto riguarda il resto, che dire…, concerto iniziato con mezz’ora di ritardo (naturalmente attribuibile all’organizzazione), un’improvvisata scaletta di soavi pagine barocche intervallate da brani rock perfettamente in “Sollima style”, un fuoriprogramma in duo con la chitarra di Massimo Felici (per la serie tutto fa brodo), un bis come da contratto.
E’ mancata l’atmosfera, la magia, quell’aria rarefatta nella quale i suoni diventano preziosi e si fissano nella memoria.
Redazione