Vita di Pi di Ang Lee, la recensione
Ang Lee non si smentisce. Mai. Nei suoi lavori riesce a spaziare elegantemente da un tema all’altro senza sbavature, tratteggiando luoghi, personaggi e stati d’animo.
Il suo ultimo film, “Vita di Pi”, non è da meno e quasi sicuramente permetterà al pluripremiato direttore taiwanese di guadagnare l’ennesimo riconoscimento.
Ispirato al bestseller del canadese Yann Martel, il film narra la storia di un naufragio, che definirei sia reale che simbolico, di cui è vittima Pi, un ragazzino indiano, e della sua lotta per la sopravvivenza.
La vicenda parte dalle splendide ambientazioni della Pondicherry degli anni ’70, ex colonia francese in India, nella quale il padre di Pi possiede uno zoo: la situazione economica avversa spingerà la famiglia alla drammatica decisione di emigrare in Canada, portandosi dietro gli animali dello zoo, ma la nave mercantile sulla quale sono in viaggio subirà un orribile, quanto inspiegabile naufragio nel mezzo del Pacifico e porterà Pi a vivere un’avventura senza precedenti. L’adolescente, infatti, in seguito all’incidente, si ritrova a condividere una scialuppa in mezzo all’oceano con Richard Parker, una tigre del Bengala, che nonostante il nome umano si contraddistingue, tra gli altri animali dello zoo, per ferocia.
A questo punto una confessione è d’obbligo: non ho letto il romanzo di Martel.
Ammessa la mia colpa, posso dire che dopo aver visto la trasposizione di Ang Lee mi è venuta una gran voglia di leggere questo libro, se non altro perché ho sentito il bisogno di approfondire delle tematiche che il film tocca, ma non esaurisce. E’ come se la sceneggiatura fosse “carente”, ma probabilmente di proposito, in modo da generare la riflessione nello spettatore e il famoso, quanto prezioso, dibattito all’uscita dalla sala.
In ogni caso la direzione di Ang Lee è magistrale: le scene di animazione digitale sono davvero suggestive ed emozionanti (vi consiglio, solo per questa volta, una sala 3D perché ne vale la pena!) e se inizialmente la visione di questa attesissima pellicola mi aveva un po’ deluso, probabilmente a causa delle solite strategie di posizionamento delle case di distribuzione, nei giorni seguenti la sua essenza ha fermentato dentro di me come il mosto nelle botti, ricordandomi senza buonismi né tribolazioni mentali che la nostra vita è in fondo una ricerca incessante, che non bisogna mai abbandonare, perché ci si può perdere e che la vera sfida è sempre quella che si combatte contro sé stessi.
Angela Maria Centrone