Dopo gli eterni dannati della Mayer, il mondo dei teenager si avvicina a quello di un altro classico del genere horror:
gli zombie.
Lo scintillante Edward Cullen lascia il posto a un ben più cadaverico R: zombie privato di ogni ricordo, compreso quello del suo nome, la cui vita si divide in un'infinita passeggiata a schiena curva per le strade di una Seattle deserta e il ricevere qualche spallata di cui nessuno si scuserà perché incapace di farlo.
R si trova costretto in una routine oppressiva da cui troverà libertà solo quando, durante una “pausa pranzo” in compagnia di
M, compagno di lunghi e primitivi scambi di gemiti, e alcuni simili, affronterà due delle sensazioni più straordinarie della sua nuova vita da non morto: il sapore ricco dei ricordi assopiti nel cervello di un essere umano e il sentimento che da sempre unisce qualsiasi uomo: l'amore.
In fondo, si sa, come la fortuna, l'amore è cieco e non lascia scampo.
Julie, la donna di cui il nostro zombie amletico si invaghisce, interpretata da un'irriverente
Teresa Palmer, oltre ad essere viva altri non è che la figlia del generale che guida le le truppe della resistenza contro la schiera dei non morti.
Si potrà davvero instaurare un rapporto tra un morto e un essere vivente?
Girato da
Jonathan Levine, “Warm Bodies” condivide con l'ormai famoso "Twilight" solo l'impossibilità del rapporto tra i due protagonisti, affrontato con un romanticismo ben lontano dai toni smielati con cui il vampiro si riferiva alla sua Bella, colorandolo, questa volta, con una più pungente e opportuna ironia. Altra differenza notevole tra le due pellicole è la capacità della nuova arrivata di salvaguardare i tratti tipici dello zombie che tutti noi conosciamo.
Lo zombie, in “
Warm Bodies”, infatti, mantiene invariato il suo bisogno di coesistere in gruppo, il bisogno primario di nutrirsi di carne umana, e il suo lato inumano e spietato (rappresentato in maniera eccelsa dagli "
ossuti") arricchendolo, però, di nuovi piccoli dettagli.
Numerose sono le citazioni alle pellicole (e non solo) del genere horror quali
"Zombi 2" di Lucio Fulci, il videogioco "
Lollipop Chainsaw", arrivando a toccare anche un più attuale "
The Walking Dead"; piccoli dettagli che fanno di Warm Bodies un alunno fedele che tenta, pur con alcuni sforzi, di eguagliare il livello del genere.
Ma Shakespeare? Dove si inserisce in tutto questo? Di fronte ad una massa di carne ambulante intrappolata nella propria routine e ormai priva di comunicazione, quale contrapposizione migliore poteva scegliere
Isaac Marion se non quella dell'uomo che ha fatto della parola una forza ormai capace di superare le porte del tempo?
Shakespeare qui viene sezionato e semplificato: più che visibile, nella trama, la citazione allo scontro tra Montecchi e Capuleti (a partire dai nomi assegnati alla coppia, ma anche a personaggi minori, fino alla più che famosa scena del balcone) e il riferimento all'esistenzialismo amletico evidente già dalle prime scene e dalla ricorrenza dei monologhi interiori del protagonista.
Con R, interpretato da un giovane
Nicholas Hoult, troviamo la voglia di un outsider di superare i limiti che la società, con la sua paura e pregiudizio ha creato attorno a lui. Man mano che avanziamo nella trama si evidenzia sempre più il bisogno di annullare lo scontro tra l'esteriorità, che ci relega sempre più ad un'omologazione di massa, e la vitalità della mente e delle emozioni che affermano la nostra individualità. Tale scontro sarà fonte evidente di grande cambiamento.
Un film che ci introietta in un viaggio di crescita interiore per nulla ostico alleggerito ancor più da una storia d'amore ombra di quella shakespeariana che ci regala momenti piacevoli, idee divertenti ma il cui punto di forza si ritrova unicamente nell'ironia che, attraverso un tagliente flashback, lancia il suo piccolo dubbio socratico: siamo davvero liberi e vivi o ci siamo ritrovati a diventare zombie pur senza "un'epidemia, un virus o delle scimmie infette?"
Rita Cometa