Miele di Valeria Golino, la recensione
Esordio alla regia per l’attrice Valeria Golino con il lungometraggio “Miele”, che sarà in concorso anche al prossimo, quanto imminente, Festival di Cannes.
L’opera prima della Golino è tratta liberamente dal romanzo “A nome tuo” del giornalista Mario Covacich e affronta un tema complicato e delicato: il suicidio assistito.
Irene alias Miele, interpretata da Jasmine Trinca, dietro lauti compensi, aiuta i malati terminali fornendo loro la morte assistita, finché non si rivolge a lei l’ingegner Grimaldi, un uomo stanco della vita, che non presentando una malattia del corpo bensì dell’anima, andrà a distruggere il personalissimo codice etico e morale di Irene, facendola entrare in crisi con se stessa.
Il film è di qualità, la Golino utilizza il linguaggio cinematografico abilmente: la protagonista è quasi un suo alter ego (per chi ricorda l’attrice negli anni ’90) dalla sensualità androgina e un po’ glaciale, la vuotezza della sua vita e il nichilismo che persegue sono ben chiari attraverso i suoi rapporti sentimentali aridi e la solitudine di una casa sul mare nel quale vive, i ricordi d’infanzia sono avvolti in una coltre immacolata alla maniera di Orson Wells e ogni elemento è un simbolo che ritrova poi corrispondenza nella scena seguente, ma il personaggio di Carlo Cecchi è un po’ un cliché, convince poco e ricorda vagamente il professore interpretato da Roberto Herlitzka ne “Il rosso e il blu” di Giuseppe Piccioni, per non parlare poi di una colonna sonora ineccepibile fino alla forzatura finale, anomala e inspiegabile, del pezzo delle Vibrazioni.
Il fatto è che questi 96 minuti sembrano infiniti ed a un certo punto l’eccesso di cura estetica delle immagini sfinisce così tanto da far perdere l’interesse per la storia. Insomma prendere un manuale di cinema e seguirne le direttive non equivale, purtroppo, a dare delle emozioni e “Miele” manca di pathos, perché la Golino segue le regole e ne viene imprigionata, a scapito di quella che è la cosa più importante per lo spettatore: il coinvolgimento.
Angela Maria Centrone