Il 39° Festival della Valle d'Itria inaugura con un brillante Domenico Colaianni in "Crispino e la Comare" per la regia di Alessandro Talevi
Il 39° Festival della Valla d’Itria è stato inaugurato lo scorso 13 luglio con la commedia buffa “Crispino e la Comare”, sicuramente un cambio di toni rispetto agli anni precedenti, un ritorno forse a quel 2010 in cui andò in scena una scintillante “Napoli Milionaria”, di cui ritroviamo parecchi interpreti anche nell’opera dei fratelli Ricci.
Tre anni fa era il primo anno della direzione artistica del Maestro Alberto Triola e venivamo fuori dal tracollo economico del settembre 2009 e quel “addà passà a nuttata” era appropriato, realistico, un barlume di speranza.
Alla luce di quello che viviamo oggi la scelta ricade su un’opera tutta italiana, composta dai fratelli Ricci su un libretto di Francesco Maria Piave: la storia del ciabattino Crispino Tacchetto, che sopraffatto dai debiti tenta il suicidio, ma una misteriosa Comare, che poi si rivelerà essere la Morte, giunge in suo aiuto offrendosi di saldare le sue incombenze e di “farlo” medico.
Crispino è analfabeta e la cosa sembra impossibile anche a lui, ma la Comare lo tranquillizza dicendogli che ci sono tantissimi asini tra i medici veri e gli spiega che una volta giunto al capezzale del degente, Crispino, se avesse visto la Comare allora la prognosi sarebbe stata nefasta, in caso contrario avrebbe potuto prescrivere qualunque cura, ‘ché la guarigione era assicurata.
Crispino, dapprima schernito, dimostra dopo poco la sua “abilità” prevedendo la guarigione dell’operaio Bortolo e viene portato in trionfo dal paese.
Ma pian piano egli diventa superbo, scontroso sia con la moglie Annetta che con la stessa Comare che decide di punirlo e gli dice che è giunta la sua ora.
Crispino vedendo la sua famiglia soffrire implora la Comare di risparmiargli la vita, lei commossa accetta e il tutto si conclude in un happy ending.
Il regista sudafricano Alessandro Talevi ha dato all’opera un taglio assolutamente attuale: Crispino è l’uomo qualunque, senza alcun talento né alcun merito che conquista fama e successo senza fare assolutamente nulla, alla meglio piangendo la sua miseria.
Alla stregua dei cosiddetti reality show la Comare appare a Crispino vestita come una soubrette televisiva in un fascio di luce, fantastico a proposito il lavoro di light designing, e “regala” al povero ciabattino un’opportunità.
La corruzione morale di Crispino è rappresentata invece come l’ascesa e decadenza di un rockstar che raggiunge l’apice del successo.
L’intero allestimento è improntato su un gusto trash che sfocia in una sorta di specchio grottesco della società attuale, nella quale i medici sono quasi tutti chirurghi estetici e “gonfiatori di labbra” di aspiranti veline.
La recitazione di tutti i personaggi è assolutamente impeccabile e gli interpreti sono magistrali: a cominciare dal “nostro” baritono Domenico Colaianni nel ruolo di Crispino, passando per il mezzosoprano Romina Boscolo che interpreta la Comare, per arrivare alla favolosa Stefania Bonfadelli, soprano, nel ruolo di Annetta, che ha incantato il pubblico di Palazzo Ducale con la sua voce capace di acrobazie musicali incredibili.
Il “Crispino e la Comare” di Alessandro Talevi è un’opera assolutamente divertente, che vi farà uscire canticchiando "Io non sono più l'Annetta" o sorridere ripensando all'aria dedicata alla "frittola".
Una composizione, quella dei fratelli Ricci, "popolare" come ha affermato il blasonatissimo direttore d’orchestra Jader Bignamini, che rimanda un po’ al cinema del neorealismo: Crispino e Annetta mi hanno ricordato tantissimo Monica Vitti e Alberto Sordi in “Polvere di Stelle”, laddove nel successo inaspettato e giunto in fretta ci si può perdere, ma il ricordo della nostra fragilità, del nostro essere di passaggio, ci riporta a ciò che siamo, agli affetti reali. E poi la colpa non è ugualmente la nostra se esistono i Crispino e le Annetta? Forse servono, simpaticamente, a rammentarci che è un momento in cui è necessario abbandonare l’effimero e recuperare la sostanzialità delle cose.
Angela Maria Centrone