di Angelo Oliva
Nel cuore della Valle d’Itria, tra ulivi, vento e stelle, il festival Bari in Jazz si è preso un altro meritatissimo applauso con una serata che ha coniugato tradizione, innovazione e spiritualità afroamericana. Il 18 luglio, a Il Granaio – Spazio Arte di Locorotondo, due concerti hanno dato corpo e voce alla Black Music nelle sue molteplici forme: la sperimentazione jazz-hip hop di Kassa Overall e la lezione di storia viva e militante firmata Brian Jackson.
Già il luogo merita una menzione speciale: Il Granaio – Spazio Arte, creato dall’artista-designer Bernardo Palazzo, è uno spazio sospeso tra arte e natura, dove il palco si mimetizza con la pietra e i tessuti, tra merletti giganti e quinte che sembrano uscire da un sogno pugliese. Un’atmosfera unica che esalta l’ascolto e restituisce valore all’atto del suonare insieme. Complimenti sinceri alla cooperativa Abusuan, a N3 e a tutta la direzione artistica di Bari in Jazz per la visione.
Kassa Overall: jazz, drum & soul
Apre la serata Kassa Overall, batterista, rapper, produttore e alchimista sonoro. In lui convivono Elvin Jones e J Dilla, Thelonious Monk e MF DOOM. Non è solo un virtuoso della batteria (che lo è), ma un esploratore di linguaggi, uno che parte dall’hip hop per deformarlo, destrutturarlo e portarlo nel territorio del jazz contemporaneo, mantenendolo vivo, pulsante, autentico.
Con lui sul palco una band straordinaria, capace di scambiarsi strumenti, ruoli e intensità con una naturalezza rara:
Bendji Allonce (percussioni), Matt Wrong (Rhodes, tastiere), Emilio Modeste (sax tenore e soprano), Tomoki Sanders (sax alto, tastiere, percussioni).
La sorpresa della serata è scoprire che Tomoki è il figlio di Pharoah Sanders. Un dettaglio che emoziona, perché nel suo sax e nella sua presenza scenica si avverte davvero l’eco spirituale di quell’Olimpo jazz che fu di Coltrane e dello stesso Pharoah.
Il live è un viaggio tra improvvisazione e groove, tra rimandi colti e citazioni trasformate in tracce vere e proprie.
Il riff di "Nuthin’ But a 'G' Thang" di Dr. Dre? È una traccia di CREAM, l’ultimo album di Kassa. Come anche "Rebirth of Slick (Cool Like Dat)", successo dei Digable Planets, che a loro volta campionavano Art Blakey e i suoi Jazz Messengers, dal brano Stretching del 1979.
Una ricorsione culturale, un cortocircuito creativo che ribalta i codici e li rinnova.
Kassa lo ha affermato più volte:
"Nessuna modifica, nessuna sovraincisione, nessun campionamento o drum machine. Solo un fantastico gruppo di musicisti che suona insieme."
Ed è proprio così. Ballad mozzafiato con il tenore di Modeste, sezioni ritmiche esplosive, accelerazioni free e momenti di grande empatia collettiva.
Brian Jackson: la coscienza e il groove
Dopo un’ora abbondante di viaggio sonoro, il palco accoglie Brian Jackson, pioniere della conscious music e collaboratore storico di Gil Scott-Heron, con cui ha scritto alcune delle pagine più luminose della soul-jazz militante anni ’70.
La sua è una presenza elegante, semplice e sincera, un ritorno che diventa celebrazione storica e dialogo tra generazioni.
Con lui una formazione affiatatissima:
Lex Cameron (piano Rhodes, chitarra, flauto, cori), Freddie Thompson (basso), Paul Jones (batteria) e Matt Hodge (percussioni).
I brani scorrono fluidi, tra omaggi e nuove visioni:
Gran finale con una versione esplosiva di The Bottle, oltre 9 minuti di virtuosismi al flauto traverso, interplay con il pubblico e persino una citazione funk di Soul Makossa di Manu Dibango. Il bis, più che un bis, è un gioco rituale collettivo: un brano afro cantato insieme al pubblico, tra sorrisi, battiti di mani e felicità pura.
Un festival che pensa, ascolta e costruisce
Due concerti diversissimi, eppure uniti da un filo rosso: la libertà creativa e l’umanità della musica nera.
Una serata che lascia il segno.
Una rassegna che, con coerenza e ambizione, si conferma come una delle più belle realtà italiane.
E noi, nel cuore della Puglia, sotto le stelle, ci siamo sentiti davvero parte di qualcosa.
20/07/2025 00:00
lovelive
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